Per motivi ineludibili di lavoro mi tocca sostenere il peso di due account ai servizi online di Microsoft.
Significa che, senza che io abbia chiesto alcunché o espresso alcun consenso, mi arriva in posta periodicamente un rapporto di Network Analytics in cui Microsoft riassume i contatti che ho avuto, quanto sono durati eccetera.
Ovvero, sorvegliano il mio lavoro.
Dopo due o tre rapporti, ho fatto clic sul link di disiscrizione. Il risultato è questo:
Più si va avanti più diventa difficile trarre giovamento dalle raccolte di liste di scorciatoie e trucchi. Checché ne dicano quelli che si lamentano della scomparsa della findability, lentamente si impara tutto o quasi; le liste troppo dettagliate sono troppo lunghe per essere utili; quelle troppo corte fanno scoprire nulla di nuovo.
Secondo
il sondaggio 2020 della comunità mondiale degli sviluppatori su Ruby On Rails, un terzo degli oltre duemila che hanno risposto usa come editor Visual Studio di Microsoft, che ha la maggioranza relativa. Per fare un governo servirebbero però alleanze, visto come ci sia spazio nelle risposte per Vim, Sublime Text, RubyMine, Atom, Emacs, TextMate e altri.
In compenso, quasi tre su quattro usano macOS. Settantatré percento, per essere esatti. A usare Ruby on Rails su Windows è il tre percento.
Cory Doctorow, ispiratore di
Creative Commons e pioniere di una nuova legislazione più adatta al copyright al tempo dei computer, ora pubblica un libro su
come distruggere il surveillance capitalism: un concentrato di ideologia cieca, pregiudizi, luoghi comunissimi più che comuni, radicalista come chiunque abbia voglia di tutto tranne che di cambiare veramente qualcosa. Il suo bersaglio sono le aziende della Big Tech (che è di moda attaccare) con il loro sistema che finisce per privarci del libero arbitrio a forza di raccolta dati e profilazione.
Evidenza empirica: Teams e Meet consumano circa il doppio della batteria che consuma Zoom.
Non ci si può credere: il servizio è sommariamente identico, eppure c’è una evidente differenza di programmazione sotto al cofano.
Se si sta alla scrivania importa magari poco; in mobilità, non ci sono dubbi sulla scelta ideale e viene naturale anche mettere in secondo piano le perplessità sulla privacy garantita da Zoom.
Fosse per me io farei comunque tutto in
Jitsi. È che tutto non si può avere.
I compiti di un ragazzino vengono massacrati dalla piattaforma di apprendimento remoto su cui si esercita.
La mamma vede che il voto, spietato, compare una frazione di secondo dopo la consegna dell’elaborato e capisce: dietro non ci sono insegnanti ma un algoritmo. E invece di dire al figlio di studiare,
studia lei una soluzione.
Algorithm update. He cracked it: Two full sentences, followed by a word salad of all possibly applicable keywords. 100% on every assignment. Students on @EdgenuityInc, there's your ticket. He went from an F to an A+ without learning a thing.
Ascoltata, invece che letta, è ancora più straordinaria, in senso etimologico.
Se l’inglese è ostico e i sottotitoli di YouTube non bastano, qui sotto c’è un estratto da Macintosh Story: la storia espresso della Calcolatrice Grafica.
Così come la moneta cattiva scaccia la buona nei proverbi, gli strumenti tuttofare soverchiano quelli monofunzione.
Gli strumenti tuttofare sono la piaga della Prima Grande Era dell’informatica, che sarà sì e no a metà svolgimento.
La gente si illude che il principio del coltellino svizzero non sia una brillante idea per affrontare situazioni impreviste di provvisorietà, ma una soluzione sbrigativa a tutti i problemi.
Così si siedono a tavola per mangiare con il coltellino svizzero; riparano un motore con il coltellino svizzero; temperano le matite con il coltellino svizzero; tagliano la carta con il coltellino svizzero. Segano un ramo, ingrandiscono un particolare, aprono una latta con il coltellino svizzero.
All’inizio si sono levate voci critiche su certe opportunità di uso della mascherina. Oggi sappiamo che protegge gli altri, protegge in qualche misura anche chi la indossa e che è fondamentale per ridurre il rischio.