Non sono parenti. Non sono amici, non sono clienti né fornitori, non li vedo di frequente, non ci dobbiamo soldi, non abbiamo interessi comuni, non facciamo parte di una stessa associazione, non abitiamo vicino, non siamo coetanei né ex compagni di scuola o altro, neanche veniamo dalla stessa area geografica.
Sono semplicemente persone che conosco. Hanno un piccolo ristorante, che ho visto morire in un video su Facebook. Di lockdown, incertezze, chiusure, riaperture a metà, normative contrastanti, tasse assurde, regolamenti a caso e altro. Non so se ci abbiano messo del loro; a me interessa la parte che riguarda il governo e il pensiero computazionale.
Scrivo mentre Florida, Texas e Ohio sono ancora lontani dall’essere assegnati e potrebbe vincere chiunque.
Dopo la
farsa dei Surface messi in mostra per compiacere lo sponsor, tuttavia, quest’anno ho visto campeggiare su una scrivania degli studi Cnn un MacBook genuino, davvero usato dalla giornalista inquadrata.
Tanto basta a rendermi fiducioso sulla tenuta della democrazia americana.
L’ennesima prova che il design e l’interfaccia utente non solo suggeriscono che cosa sia meglio comprare, ma dicono anche tante cose su chi li applica male.
Ne parla John Gruber a proposito della nuova versione della app di Facebook per iOS, con la novità del supporto del dark mode.
Mi sono accorto immediatamente – senza esserne sorpreso – che Facebook ha sbagliato a impostare le frecce che rivelano contenuto gerarchico nascosto. Facebook lo fa nel modo ottuso, come Android, per cui la freccia indica l’azione e non lo stato. iOS funziona nel modo giusto e le sue frecce indicano lo stato, come hanno fatto a partire dal 1984 su Mac.
C’è un articolo su TechCrunch, riguardante
l’arrivo della generazione cosiddetta No-Code, che andrebbe letto nelle scuole. Ma non agli studenti; agli insegnanti.
Lo stesso articolo andrebbe letto nelle aziende. Non ai dirigenti; a tutto il resto del personale.
Parla di un nuovo digital divide che nasce e che, con il senno di poi, farà apparire come vecchiume il primo divide, quello tra chi sapeva usare un computer e chi no.
Le piattaforme no-code, per esempio
Retool o
Airtable, possono cucire assieme in un paio di clic progetti che una volta avrebbero richiesto ore a un team di ingegneri. Il loro vantaggio rispetto al passato, certamente, non è la dizione no-code:
È luogo comune che Apple sia centrata su iPhone e possibilmente trascuri gli altri settori di attività. Poi avviene che i
risultati trimestrali relativi all’estate manchino, per la prima volta, del lancio di un nuovo iPhone. E, nonostante questo, siano il record di tutti i tempi per il trimestre estivo, con analogo record per il fatturato Mac e pure per quello dei servizi. Senza contare un bell’andamento di iPad.
La notizia c’è, possiamo chiuderla qui.
Primo impatto con
iPadOS 14: buono.
Niente di eclatante, come è anche logico per la quattordicesima iterazione di un sistema operativo. Alcune delle novità più succose sono poi appannaggio di Pencil, che non uso.
La tipografia è gradevole per il mio gusto; Mail, Note hanno guadagnato una nuova evidenziazione del contenuto in primo piano, cosa piccola e utile; il redesign di Calendario è vincente e ci voleva. Mappe, alla prima occhiata, si è molto raffinato.
iPad Pro mi ha notificato di essere pronto ad aggiornare il
sistema operativo.
Voleva farlo ieri notte, ma aveva rinunciato per mancanza di alimentazione via cavo. Di giorno tengo la macchina sulla scrivania a caricarsi e la sera me lo appoggio sul comodino, non alimentato (è stracarico e non c’è alcun bisogno). Così ho aperto la notifica e ho confermato di volere installare.
Di norma delego gli aggiornamenti completamente a iPad, solo che altre volte si è andati avanti per giorni con lui che ogni mattina mi diceva di non avere installato per mancanza di cavo di rete. Un tap sul link di installazione, e solo quello, è un buon compromesso.
Per un lavoro vagamente creativo ho installato i
font di Apple, San Francisco e New York. L’ho fatto per puro dovere, ma ora devo ammettere che non sono affatto male.
Sì, lo so che Apple li usa ovunque e non sono una novità. Nondimeno, dentro un documento scritto o un layout grafico hanno un perché autonomo, mentre fusi dentro la comunicazione di Apple sembrano semplicemente un’altra cosa fatta da Apple, pulitini, quasi anonimi.
Above Avalon scrive che secondo le nostre stime, il mese scorso Apple ha superato la boa del
miliardo di utilizzatori di iPhone.
Se leggo i commenti a seguito di una presentazione di nuovi iPhone, non mancano mai le battute sul rene da vendere, meglio pagarsi un viaggio, fai le stesse cose a metà prezzo eccetera.
Non sono ricco e ho un iPhone. Certamente sono fortunato, molto fortunato, in più di un modo: in prospettiva planetaria, so leggere e scrivere, ho l’acqua corrente, un tetto solido, accesso a cure mediche e a servizi sociali di qualità ragionevole quando non buona. Se prendo in considerazione i sette miliardi che siamo, questa è fortuna. Grande fortuna.
È veramente difficile pensare alla nostra scuola in questi giorni senza sentire voglia di fare polemica. A causa del coronavirus sono rimaste chiuse per un quadrimestre, durante il quale abbiamo sentito alla nausea le geremiadi su come fosse brutta la teledidattica e quanto fosse indispensabile riaprire le scuole.
Uno che avesse detto una parola su quello che doveva cambiare, prima di riaprire. L’inadeguatezza degli spazi e delle strutture; il virus della burocrazia, che non uccide nessuno ma mortifica tutti; la necessità di ripensare radicalmente programmi e dinamiche della scuola, che continua a funzionare come nell’Ottocento, solo che siamo nel Duemila.