Non è tanto un discorso sul retrocomputing, ammirevole, sentimentalmente energico, bisognoso di passione e competenza che neanche una pianta carnivora in vaso.
Quanto su quella nostalgia dei vecchietti (mentali) per cui una volta i computer erano cose affascinanti, si poteva smanettare, potevi guardarci dentro, imparare, programmare da zero, cambiare un pezzo se non ti piaceva e tutto questo senso di avventura malriposta che sa molto del profumo della carta quando si parla di ebook.
Perché a sentirli, signora mia, adesso i computer sono chiusi, non ci puoi mettere mano e puoi solo collegarti ai social con la app.
Questo per preparare la mia affermazione: potrei compiere azioni anche sconsiderate e disdicevoli pur di mettere le mani su un DevTerm. E quelli che una volta il computer sì che era emozionante e ora non più, li deporterei volentieri per un anno davanti al sito, a guardare che cosa c’è dentro la macchina, tutto open source, tutto visibile, modificabile, documentato, apribile senza difficoltà.
Con obbligo di silenzio. Perché se vuoi smanettare, oggi come nel millenovecentosettantanove, è veramente difficile concepire un sistema capace di mettere più brividi di eccitazione lungo una schiena nerd.
Post-neo-computing, questo, che sta al retrocomputing come l’assenzio al fernet.
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