Spiego come ho imparato a usare Coffee cApp, una app di concezione intelligente che serve a pagare via telefono le consumazioni presso i distributori automatici di cibi e bevande.
Ho scoperto la app molto tempo fa mentre accompagnavo un parente al pronto soccorso. Niente di grave, a parte – anche per quello – ore e ore di attesa vuota. Da anni sono abituato a pagare qualsiasi cosa con Apple Watch; nessuna ideologia e nessuna convinzione, semplice pigrizia. La risultante è che sono cronicamente privo di contanti e ancora peggio riguardo alle monete.
Ho visto che il distributore era tra quelli convenzionati con la app e la cosa mi ha interessato subito. Unico problema, quel pronto soccorso è interrato. Campo zero, nel senso di zero, non Edge o simili. Ho scaricato la app una volta tornato a casa.
Naturalmente non c’è speranza di usarla in quel pronto soccorso. Oddio; ogni distributore ha un proprio codice. Se la app avesse un database interno per i casi in cui ci si trova offline, si potrebbe fare molto. Al momento si può solo sperare che spostino il distributore. Sono scettico e, visto il luogo, poco interessato a seguire gli sviluppi della situazione.
Le figlie invece hanno appena iniziato una attività pomeridiana in un edificio dove campeggia un altro distributore compatibile Coffee cApp. A volte vado a fare altro prima di andare a prenderle, a volte resto lì e il mio interesse si è riacceso.
Il primo incontro non è andato benissimo. La app chiede di identificare il distributore mediante la scansione del codice QR visualizzato sullo schermo del distributore stesso.
Non c’era alcun QR.
Ho chiesto alla reception e mi hanno spiegato che sì, succede, a volte la macchina mostra il codice e a volte no, tipicamente c’è da spegnerla e riaccenderla se non lo mostra, ma ovviamente attendono di doverlo fare per necessità, chi vuoi che lo usi il codice QR?
Forse un sistema di fallback, magari basato sul codice numeri della macchina, potrebbe risolvere… mi accorgo che mi ripeto.
Al secondo appuntamento, una settimana dopo, lo schermo del distributore mostrava effettivamente il codice QR. Con aria di trionfo ho effettuato la scansione.
La app mi ha notificato un credito di un centesimo e mi ha detto che potevo rifornire il wallet interno.
Inserendo monete nel distributore.
Monete che, ne avessi possedute, sarebbero state usate per comprare direttamente quello che volevo, senza passare da Coffee cApp.
Sconfitto per zero a due, riflettevo sulla situazione durante il ritorno. Il senso della app è chiaramente avere un wallet anche modesto ma presente, che permetta di acquistare con comodo quando si trova un distributore compatibile.
Il che vorrà dire che sarà possibile caricare il wallet a prescindere, magari con la carta di credito o qualche altro sistema.
Infatti è possibile. Solo che la procedura è ben nascosta. Al primo utilizzo non viene menzionata, va conosciuta o scovata con arguzia mentre due figlie ti tirano per la giacca e vociano per avere una merendina.
Basterebbe una finestra di dialogo da pubblicare quando ci si collega a un distributore: vuoi caricare il wallet? e risposte contanti, carta di credito, Apple Pay, no. Anche solo la prima volta e poi basta; uno lo sa, la seconda volta, e si industria per ricaricare.
La mia goffaggine nell’uso delle tecnologie è nota e per questo amo il design ben concepito: mi salva la vita.
Intanto constato che per tre volte i creatori di Coffee cApp mi hanno messo in una situazione tale da non riuscire a usare la loro app. La loro fonte di guadagno.
Se guadagnassero di più, potrebbero permettersi un progettista migliore di esperienza utente. Se mostrassero una esperienza utente migliore, guadagnerebbero di più. Non penso che la mia esperienza sia unica al mondo.
È che percepisco un circolo vizioso da cui è difficile uscire. Mi sa che spostano prima il distributore del pronto soccorso.