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Dal mondo Apple all'universo digitale, in visualizzazione rapida dell'ovvio

30 set 2024 - Internet

Una foto è una foto è una foto

Una rosa è una rosa è una rosa.
— Gertrude Stein

Capita poco frequentemente che nel cinico e materiale mondaccio digitale si faccia filosofia, però quando succede è interessante. Per esempio, le possibilità di manipolazione senza fine delle immagini portate dai grandi modelli linguistici ci spingono a chiederci che cosa intendiamo oggi per fotografia e se qualunque definizione risenta, magari anche quanto, del tempo passato e dei progressi tecnologici.

Viene fuori che, lo sapevamo già solo che occorre ripeterlo per quelli che tutto è uguale a tutto, la definizione cambia in funzione di chi produce fotocamere in numeri astronomici. Dentro la recensione di iPhone 16 Pro su The Verge si legge questa definizione di fotografia fornita da Jon MacCormack, vice president camera software engineering di Apple:

Ci piace pensare alla fotografia come a una celebrazione personale di qualcosa che è realmente accaduto.

Sia qualcosa di semplice come una tazzina di caffè dal design particolare, o qualcosa di fondamentale come i primi passi di mio figlio, o l’ultimo respiro dei miei genitori, è qualcosa che è realmente accaduto. Qualcosa che ha lasciato un segno nella mia vita e che merita di essere celebrato.

Su MacStories, Federico Viticci linka a pareri di Samsung e Google.

Questa l’idea, lasciata a TechRadar, di Patrick Chomet, Head of Customer Experience:

Una immagine reale non esiste. Se hai sensori per acquisire qualcosa, riproduci ciò che vedi e non significa nulla. Non esiste una immagine reale. […] Puoi tentare di definire una immagine virtuale con il dire «l’ho scattata io», ma se hai usato l’intelligenza artificiale per ottimizzare lo zoom, l’autofocus, l’inquadratura… è vera? O è tutto un usare filtri? L’immagine reale non esiste, punto.

La visione di Google è più relativistica. Nel corso di un lungo articolo su Wired, il team di Google Pixel spiega che non sono le immagini a contare, ma i ricordi:

È tutta questione di che cosa ricordi. C’è una debolezza nel definire un ricordo: potremmo avere una vera e perfetta rappresentazione di un momento che sembra completamente falsa e sbagliata. Le modifiche alle foto ci aiutano a creare il momento che è il modo in cui lo ricordiamo, che è autentico per la nostra memoria e per il contesto più generale, ma potrebbe non corrispondere a un particolare millisecondo.

Insomma, roba forte. Saremo condizionati dall’apparecchio che usiamo? O usiamo quell’apparecchio perché in qualche modo corrisponde al nostro modo di pensare? O l’utilizzatore e lo strumento restano indipendenti l’uno rispetto all’altro?

Se può sembrare un inutile rovello mentale, beh, in capo a dieci anni vivremo in una società dove la cosa più difficile sarà distinguere il vero dal falso, l’accaduto dalla sua interpretazione, l’invenzione dell’evento dall’evento. Riflettere su che cosa significhino per noi le nostre foto, e fino a dove sia opportuno o lecito inserire la creatività e la manipolazione, è un bel momento di preparazione al prossimo futuro.

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