C’era una volta NaNoWriMo, la competizione che ogni anno sfida aspiranti scrittori a scrivere un romanzo breve di cinquantamila parole o più nei trenta giorni del mese di novembre.
C’è ancora, solo con un abbondante condimento di polemica. In agosto l’organizzazione ha pubblicato una serie di FAQ in cui si trattava anche dell’utilizzo di supposte intelligenze artificiali. La posizione ufficiale era ed è neutrale – fai quello che vuoi – ma si aggiungeva che opporsi categoricamente all’uso dell’intelligenza artificiale ai fini di NaNoWriMo rispecchia classismo e abilismo (l’idea che i normodotati siano quelli per cui fare le cose e gli altri si arrangiano).
La cosa ha sollevato un certo polverone, dato che ovviamente non tutti gli oppositori dei chatbot sprezzano i disabili o chi ha meno mezzi e risorse. Qualcuno ha lasciato il consiglio direttivo dell’organizzazione, la quale ha rivisto parzialmente il testo pubblicato togliendo le accuse esplicite.
ChatGPT e compagnia sono strumenti formidabili per superare certe disabilità, grazie alla facilità con la quale generano testo strutturato. Ugualmente sono utilissimi a tante persone, indipendentemente dalla loro condizione, per raggruppare idee, produrre bozze, cercare spunti, organizzare contenuti e così via.
NaNoWriMo è però un concorso letterario e tanti si sono scaldati perché non è affatto chiaro quanto venga rispettato il lavoro (non solo il diritto di copia) di chi ha già scritto e ha ritrovato a propria insaputa i propri testi nel calderone dei dati usati per l’addestramento dei modelli linguistici. Se domani un romanzo breve creato con l’aiuto di, per dire, Claude partecipasse alla gara e vi si scoprisse testo plagiato da altri autori (eventualità che i motori fanno di tutto per escludere, ma assolutamente non riescono a garantire), NaNoWriMo andrebbe incontro a problemi di credibilità notevoli.
Capisco benissimo che l’esclusione dei chatbot dal novero degli strumenti utilizzati causerebbe problemi a partecipanti con una disabilità che li limita nella produzione di testo e, anzi, è una cosa bellissima avere uno strumento che può favorire le persone meno avvantaggiate e ridurre i divari di salute, disponibilità di tempo (chi lavora e chi no) e capacità fisiche.
Detto questo, toglierei il Mo e lo chiamerei NaNoWri. La sigla sta per National Novel Writing Month e la distanza dei trenta giorni è una parte integrale della sfida. La soglia delle cinquantamila parole è studiata apposta per consentire la produzione di un romanzo breve, però a patto di impegnarsi.
Se chiunque può scatenare un chatbot, il limite dei trenta giorni non ha più senso. Si possono generare tonnellate di testo in tempi ridottissimi e poi certo c’è una giuria, bisogna revisionare, correggere, personalizzare, ma non è sicuramente la stessa cosa che dattiloscrivere sulla tastiera. (O dettare e lasciare sbobinare il computer).
Personalmente, leggendo che posso usare il chatbot, non mi viene neanche voglia di provarci. Non è testo mio; se serve per uscire con un comunicato stampa, è un ausilio prezioso. Se serve per mostrare la mia creatività, beh, non lo è. È un pappagallo stocastico cui dare uno spunto, che fa tutto da solo andando a pescare nel senso comune prodotto dalla rete globale. C’è gente che non sa disegnare e si sente creativa per poter dare un prompt e ricevere un disegno nel giro di pochi minuti. Io mi sento, al massimo, efficiente; la creatività è una cosa diversa e, limitando il discorso alle persone normodotate, l’aiutino dimostra solo che la creatività manca.