Mercoledì 29 marzo mi troverò al Copernico di Milano, uno dei coworking in voga nella citta, per la
presentazione di un libro di cui mi è accaduto di scrivere la prefazione.
(La prefazione è il compito più ostico da svolgere per un libro perché non ci guadagni niente, devi spiegare in due pagine concetti che l’autore ha spiegato in cento e, se il libro non funziona, è colpa tua).
Il tema è l’Internet delle cose, solo apparentemente tangenziale al mondo Apple: una auto con CarPlay o watch che in aeroporto avvisa dell’inizio degli imbarchi sono esempi ancora acerbi ma già saporiti per chi vuole rendersi conto del fenomeno.
Neil Cybart di Above Avalon mostra che se uno si mette sul mercato alla ricerca di auricolari wireless perché vuole computer da orecchio, e wireless, più che essere un purista del suono, gli
AirPods sono
la scelta più economica, dopo almeno otto prodotti concorrenti nettamente più costosi.
Se Panic Software ha sulla propria sede di Portland
un’insegna a colori che qualunque passante può modificare, Adobe ha in cima a un proprio palazzo di San Jose quattro grandi Led che trasmettono codici in attesa di essere decifrati.
Ieri si parlava di
buon design. Ovvio che arrivi il contrappasso.
Mi è arrivata una mail dall’editore librario americano di tecnologia
O’Reilly. Sono utente registrato sulla loro piattaforma, ma ricevo comunicazioni da loro praticamente MAI.
L’ospedale americano Mount Sinai
ha pubblicato i risultati di uno studio sull’asma condotto tramite iPhone e
ResearchKit.
Google esiste grazie alla pubblicità. Eppure l’interfaccia di Chrome è libera da spot.
iTunes serve a vendere musica, film, app. Mentre si ascolta un brano o si guarda un video, la pubblicità è assente dall’interfaccia di iTunes.
Apple incoraggia in mille modi l’aggiornamento alla forma a pagamento di iCloud. Tuttavia, aprire una finestra del Finder non porta mai a leggere un consiglio per gli acquisti riguardante le tariffe di iCloud.
Ha suscitato una certa attenzione il lancio della tastiera
Lofree per Mac: meccanica ma Bluetooth, piccola, simpatica per i suoi tasti dalla forma circolare a richiamare le macchine per scrivere di un tempo, prova secondo l’amico
Blue che
Apple non riesce più a fare design innovativo.
Una delle decisioni più positive che ho preso ultimamente attorno a questo blog è stata aprire il canale Slack personale cui
ho invitato tutti gli interessati tempo fa.
Risposta che devo a avariatedeventuali dopo essere stato esortato a chiedere ad Apple
che servizio di cloud utilizzi (e di conseguenza dedurne l’affidabilità).
Non l‘ho chiesto ad Apple ma ho trovato chi ha fatto la cosa giusta, ossia
ha analizzato il traffico di rete per sapere dove vanno a finire i dati per iCloud.
Viene fuori che Apple fa uso di più servizi, in modo non del tutto spiegato; tuttavia sembra chiaro che l’immagazzinamento vero e proprio dei dati avvenga su spazio comprato da Amazon e quindi, come da specifiche di quest’ultima, la durata nel tempo sia stimabile a nove decimali (99,999999999 percento) con possibilità di accesso a due decimali (99,99 percento). Gli Amazon Web Services, da questo punto di vista, offrono il meglio che esista sul pianeta.