Rileggevo Fraser Speirs che parla del suo
passaggio da iPad e MacBook a un Pixelbook, sulla base di quanto è divenuto importante per la sua attività il software Google e quanto iOS manchi di usabilità e completezza quando si voglia usarlo “come un computer”.
Prima di rileggerlo ho passato una giornata di intenso lavoro su Google Sheets sul mio iPad Pro, collegato a una tastiera Bluetooth fisica. La quantità di cose che Google Sheets fa su iPad e NON fa tramite una tastiera collegata a iPad è ingente.
Non ho pensato abbastanza in piccolo, quando
ho scartato l’idea di un browser su watch.
Non me ne ero accorto, infatti, ma watchOS 5 ha portato
WebKit, il motore Html che sta sotto Safari,
anche sugli watch dalla serie 3 compresa in su. E nel giro di neanche tre mesi siamo già ai
consigli per ottenere il meglio con le immagini.
Certo, non c’è il browser vero e proprio, si potrebbe cavillare. Tuttavia è chiaro che Apple considera ragionevole presentare contenuto web su watch. In effetti, uno dei link sopra porta a un articolo di MacRumors che spiega come accedere a una pagina web arbitraria via computer da polso. A leggerla, effettivamente suona tutto ragionevole e avevo proprio sbagliato io.
Con buona pace dei
darwinisti fuori epoca, il valore di una piattaforma continua a essere quello che semplifica più di quello che consente.
A dimostrazione il
post di Zoë Smith, una cosa talmente corta e sintetica che spiace citarla; ne dai via metà. Eppure è un diamante perfetto.
[Mio marito Fabio] è appena passato a Mac da Windows. È stato deliziato da così tante possibilità che io do per scontate.
L’elenco lo lascio al curioso. La parte importante è il commento. Il grassetto è mio.
Tra fine anno e inizio anno le congiunzioni astrali hanno fatto sì che mi occupassi simultaneamente di rinnovo patente, rinnovo passaporto e fatturazione elettronica.
I pregi dell’Italia e degli italiani si notano in molte situazioni diverse. Per vedere il peggio dell’Italia e degli italiani, basta e avanza la burocrazia.
Le procedure a spirale, i controsensi, i paradossi, il lessico, il tempo bloccato e la voglia tignosa di complicare e prevaricare senza mai pagare pegno. La ricerca dell’incomprensibilità e dell’inefficienza come strumento di conservazione del potere. Lo stesso potere che hanno il tarlo sul mobile, la muffa nell’angolo, il frutto che marcisce per primo nella cesta.
Spider-Mac
ha replicato al mio
commento del suo
editoriale sul ribasso delle previsioni di fatturato di Apple.
Sarebbe facile controreplicare, perché la risposta è piena di parecchi spunti gustosi, ma appunto; troppo facile.
Invece ne ho approfittato per leggere un po’ di commenti.
Uno specchio fedele della Rete di oggi, polarizzato, basato sulle simpatie e sul partito preso, dove la razionalità è un optional e prevale la reazione istintiva. Con eccezioni, naturalmente.
Avevo accennato alla presenza di pubblicità sul sito ed è sintomatica l’obiezione: un’elencazione del numero di banner presenti nella home o nella pagina dell’articolo, con l’invito a riflettere se siano pochi o tanti.
Ho già parlato dell’assurdità di tanti codici numerici e alfanumerici
inutilmente obesi rispetto al compito che devono sopportare, con spreco immane di banda, tempo macchina, archivi e pazienza di chi li deve subire.
Concludevo che i codici bisognerebbe lasciarli generare e maneggiare al computer, che con la complessità non ha problemi. E riportare la semplicità e la mnemonicità agli umani, che lavorano meglio e più contenti.
Ne ho avuto la riprova in una recente sosta a McDonald’s. Gli scontrini adesso portano un identificatore unico; quello del mio snack, salvo errori, è
Molto rumore per Netflix che
toglie dalla sua app l’interfaccia per abbonarsi tramite App Store, come ha già fatto su Google Play. Lasciando solo opzioni di abbonamento esterne ad App Store e Google Play, evita la trattenuta del quindici percento richiesta dal distributore, Apple o Google in questo caso.
(A differenza di quanto si può leggere pressoché ovunque, Netflix
ha sempre pagato il quindici percento su App Store).
Il fenomeno è in crescita, con gesti eclatanti come quello di Epic Games che
ha messo in vendita Fortnite per Android fuori da Google Play.
Mi ha scritto (in quanto già cliente, non per altro; è una newsletter) Cortis Clark, autore di Crossword Forge, programma che avevo comprato a suo tempo per creare enigmistica su Mac.
Clark ha venduto Crossword Forge e altri programmi attraverso la sua società Sol Robots, che però ha dovuto lasciare nel 2011 per un calo delle vendite, accettando lavori presso Apple e Google allo scopo di mettere insieme pranzo e cena.
Sono rimasto incuriosito da pCloud e ho provato a eseguire l’installazione completa. Ovviamente non manca l’opzione di
invitare terzi a usare il servizio e, nel farlo, guadagnare gigabyte di archivio.
Non sono mai stato interessato a rastrellare gigabyte a qualsiasi prezzo né lo sono ora; sarebbe solo interessante, per curiosità e completezza, se uno di quanti leggono accettasse l’invito, con un clic sul link qui sopra.
Il tutto si inserisce in una riflessione che sto conducendo rispetto ai sistemi di archivio online che ho in uso. Attualmente faccio un grande uso di Dropbox e un modesto uso di iCloud Drive. Mi piacerebbe mollare il primo e adottare integralmente il secondo, solo che dovrei cambiare parte del software che uso ora su iOS e il gioco probabilmente non vale la candela.
Tutte le feste si porta via, tranne
GarageBand, che è cresciuto fino a essere un piacere per chiunque si diletti nella musica e oggi compie quindici anni.
Lo segnala MacRumors, che aggiunge una suggestiva
timeline delle evoluzioni principali del programma nel tempo.
Le mie doti di musicista sono scarsissime e GarageBand, quelle rare volte che ho tentato, mi ha sempre aiutato in modo semplice, intuitivo ed efficace, su qualsiasi apparecchio.
Non mi aspetto aggiornamenti nella calza, visto
quello recente di novembre, ma un sacco di altre soddisfazioni per questo 2019 sì.