La
teoria. Installare font nuovi su iOS è macchinoso e problematico. Se dietro una installazione c’è uno sviluppatore subdolo,
possono essere guai.
The Iconfactory ha visto una soluzione e ha contattato lo sviluppatore. Hanno lavorato insieme e, dall’intuizione originale dello sviluppatore più il contributo di The Iconfactory, è nata
Fontcase.
La pratica. Ho installato Fontcase e funziona subito, bene, semplice.
Dubbi? No. Perché il codice è
open source e chiunque può verificare che cosa combina. Chiunque no; occorre un minimo di capacità tecnica. Nondimeno, il codice è lì da vedere.
Per lavoro devo aprire Facebook. A parte questo, da diversi giorni non lo apro più per alcuna altra ragione.
Ho scoperto l’acqua calda. Il terminale che ho nelle mani o sotto controllo trabocca di ebook, siti salvati per un momento migliore, studi scientifici da scorrere, riviste online, zine app, corsi, newsletter, articoli, pagine di quotidiano scandite per non perderle, conversazioni su Slack, wiki, manuali, tutorial e così via.
È materiale per almeno dodici vite.
Microsoft
chiude definitivamente tutti i suoi negozi fisici, a eccezione di quattro che verranno reimmaginati come centri di esperienza.
Forse li useranno per studiare come mai pensavano che per fare successo come quelli di Apple sarebbe bastato aprirli, a brutta imitazione, negli stessi posti. Dopotutto un negozio è un negozio, no? Un po’ come i computer, alla fine dentro sono tutti uguali. Beh, un attimo…
Ha ragione Steven Sinofsky a dire che Apple ha effettuato un annuncio monumentale con la transizione ad Arm, o ha ragione David Sparks che, poche ore dopo il keynote, era –
parole sue – in un podcast a lamentarsi della mancanza di un pulsante di condivisione in Mail?
Hanno ragione fino a un certo punto tutti e due, ma un certo punto vale la
chiosa di Jason Snell:
La cultura Apple è basata sul cambiamento e sull’andare avanti; e ha avuto la forza di rompere situazioni consolidate e fare impazzire la gente per starle dietro. Non significa che abbia sempre ragione né cambia la spiacevolezza di attendere decisioni strategiche senza sapere che succede là dentro. Ma questo è il cuore di Apple. È una larga parte di utilizzatori ha imparato ad apprezzarla o ad accettarla come parte della natura dell’usare prodotti Apple.
Altro annuncio Wwdc di cui si parla poco: su iOS 14 le app che vogliono tracciare l’utilizzatore su siti non di loro pertinenza dovranno chiedere esplicitamente il permesso.
Non ho compiuto riflessioni particolari in merito, tuttavia immagino che per istinto potrei negare il permesso.
Un
articolo su Forbes mostra bene come questa mossa potrebbe significare grossi rivolgimenti nel mercato pubblicitario. Un mercato dove gli interessi che ruotano attorno a iOS superano di gran lunga quelli Android.
C’è una discreta
attenzione su App Clips e però nessuno, a mia conoscenza, ricorda che la funzione
era presente nel Mac OS X di molte edizioni fa.
Su Mac prometteva ma era poco utile. Su iOS potrebbe invece esserlo molto. Non si butta via niente.
Ore dopo il keynote mi accorgo che sì, il cambio di piattaforma è storico, gli annunci sono tutti all’altezza e che però a interessare è altro.
A nessuno è sfuggita l’ambientazione del keynote. Il mondo si adattava a rinunciare temporaneamente agli spazi fisici ed ecco l’accento forte su Apple Park, il sottolineare la propria impronta dall’alto, il luogo dove tutto accade, persino il laboratorio segreto arredato per l’attività di ingegneri e progettisti.
Dopo avere giocato per anni a World of Warcraft, me ne sono allontanato quando il gioco iniziava a trascurare i casual player come me. Capaci magari di stare una notte sul gioco e vedere sorgere il sole su un sentiero battuto dagli elfi, meno inclini all’alta specializzazione del personaggio e a partecipare a raid fortemente organizzati.
Molto più di questo, comunque, è stato la perdita del gusto dell’esplorazione, della comunità, del senso delle distanze. Trovarsi in un punto di ritrovo per capire con chi scendere in un sotterraneo, spostarsi per un quarto d’ora vero fino a raggiungere un luogo, nuotare con pazienza in acque pericolose per esplorare un continente proibito. Procedure veloci, interfacce, teletrasporti hanno nel tempo aggiunto l’istantaneità al mondo virtuale. Che dunque ha smesso di essere un mondo, per diventare un parco a tema. Lo dico in modo assolutamente rispettoso e positivi nei confronti di tutti quelli che preferiscono così e vogliono quel tipo di fruizione, semplicemente diverso dal mio. In un’altra configurazione di vita e lavoro avrei potuto tranquillamente unirmi al gruppo dei supergiocatori.
È stato scritto moltissimo sulla
diatriba tra 37signals e Apple, riguardante il servizio di email Hey e la sua eventuale app. Hey costa 99 dollari l’anno, Apple rifiuta la app perché non si comporterebbe secondo le regole e 37signals non ha intenzione di accettare scenari nei quali cede ad Apple parte degli incassi che registrasse la app stessa.
La querelle ha portato alla luce ampia
insoddisfazione da parte degli sviluppatori per come Apple manda avanti App Store. Da una parte, regolare in modo netto e inequivocabile ogni tipo di distribuzione di software è impossibile; dall’altra è evidente che Apple non tratta tutte le software house allo stesso modo e certi grandi nomi o grandi app hanno ricevuto un trattamento di favore. Sembra anche chiaro che la struttura di App Store sia inadeguata per come il mercato del software è cambiato negli ultimi dieci anni.
Tanti si aspettano da Wwdc un XCode capace di compilare su processori Arm e/o una sua versione per iPad.
Jason Snell su Six Colors si lascia andare a una fantasia sfrenata, bellissima: un
Developer Mode per iPad.
È che scriverne tre giorni prima non è anticipare, è andare veloci come rocce metamorfiche. Se veramente Apple presentasse una funzione simile, avrebbe cominciato a lavorarci un anno fa e magari anche prima.
Non sarebbe quindi una idea geniale, solo un rendersi conto di cose che altri avevano già concepito da tempo.