Steve Jobs faceva del levare la sua ragione di vita del design industriale e Jonathan Ive, oltre che levare, voleva che i prodotti fossero sempre più essenziali e sempre più immateriali.
Anche un po’ per fortuna, perché se non avessero tolto il lettore di floppy da iMac, la porta modem dai PowerBook, le porte seriali, LocalTalk, il pulsante del programmatore per resettare la scheda logica dall’esterno, il lettore ottico, i connettori Scsi, Vga, MiniDisplay. FireWire eccetera eccetera, oggi avremmo sistemi, come dire, appena ridondanti.
Certo che Apple passerà a processori Arm appena potrà, per la ragione che Linus Torvalds (creatore di Linux, uno dei programmatori più importanti della storia)
ha aggiornato il proprio computer principale.
In effetti, la cosa più entusiasmante della mia settimana è stata aggiornare il mio computer principale che, per la prima volta in quindici anni, non è basato su processore Intel. No, non sono ancora passato ad Arm, ma adesso sto maneggiando un Threadripper 3970x AMD. I miei build di test ‘allmodconfig’ ora sono veloci il triplo di prima, cosa abbastanza irrilevante nei periodi di calma, ma che si farà certamente sentire durante la prossima fase periodica di merge.
Da quando
è stato avviato il progetto Titan ho fatto due figlie e portato la prima alle soglie della scuola primaria.
A interrompere il trend arriva
l’articolo di Jean-Louis Gassée che fa giustizia di tante stupidaggini date in pasto ai lettori e spiega che la Apple Car, salvo meraviglie segrete che ancora nessuno ha saputo anticipare, è lontana e soprattutto molto improbabile. Finalmente (anche se ulteriori ipotetiche paternità sarebbero benissimo accolte).
Che una società abituata a profitti del trenta percento abbia interesse a competere in un mercato dove bisogna essere grandi maestri per fare il dieci (ci riesce solo Toyota, con un fatturato superiore a quello di Apple), e dove una Tesla ha impiegato anni per uscire dai profitti negativi, è improbabile. E se nel cilindro di Tim Cook c’è one more thing a riguardo, deve essere veramente clamorosa. Nessuno l’ha mai scoperta. Se include anche un impianto di produzione di auto mai visto prima sul pianeta, questo è avvolto nella più totale segretezza, invisibile a un satellite, protetto da una catena del silenzio perfetta. Un conto è nascondere una funzione di macOS, un altro un impianto industriale.
Cambiare la modalità di utilizzo di una categoria di prodotti. C’erano i computer, poi è arrivato Macintosh. Qualunque computer in vendita oggi discende da lì. Qualunque sistema operativo ha una interfaccia grafica possibile che si ispira a quei principî.
Cambiare la destinazione di utilizzo di una categoria di prodotti. C’era chi definiva iPhone un telefono perché, in una schermata con dodici app, ce n’era una che effettivamente faceva telefonare. Le cose che facciamo con un iPhone, o con Android se è per quello, sono tuttora insospettabili per tanti dirigenti Nokia che ancora soffrono di incubi notturni.
Dove Scott Forstall, artefice principe del successo iniziale di iPhone,
racconta di quando era a colloquio con NeXT per farsi assumere nello stesso periodo in cui aveva ricevuto un’offerta da una grossa software house situata vicino a Seattle.
Steve Jobs interferisce nella procedura, prende il posto di un reclutatore e dopo una conversazione gli garantisce il posto, a patto che faccia finta di niente e si mostri comunque interessato anche durante i colloqui successivi.
Un grande come Adam Engst può prendere un tema abusato come
l’abitudine sbagliata di forzare la chiusura delle app su iOS e farne un pezzo istruttivo eccellente da leggere.
C’è la spiegazione a tutto, logica, esaustiva, compresa la nozione che terminare le app compulsivamente aumenta il consumo della batteria. Viene citato un esempio di autonomia addirittura quadruplicata in un iPad e mi pare un po’ esageratamente aneddotico; non lo prenderei come il dato tipico. C’è però effettivamente da guadagnare in autonomia a lasciare vivere le app, o almeno a terminarle con giudizio.
Normalmente lascio che i miei computer si aggiornino da soli. Stavolta ero troppo curioso di vedere iOS 13.5 con le migliorie alle chiamate FaceTime tra gruppi e naturalmente la prima edizione ufficiale dell’infrastruttura di servizio per le app di tracciamento contatti antiCovid-19.
Sono andato a cercare notizie di Immuni. Su GitHub sono visibili
zero righe di codice. Solo chiacchiere.
Sul sito di Agenda Digitale, l’
articolo su Immuni, quello dove riescono a scrivere Bending Spoons in tre modi diversi, è stato aggiornato tra l’altro con una dozzina di schermate. Roba forte.
La politica è una faccenda complicata e spesso fatta di strategie che vanno a vantaggio del consenso per una parte ma non per i cittadini (e in questi casi è politica cattiva).
Una di queste strategie è abbracciare una visione per guadagnare il consenso, incassare il consenso stesso e poi tipo vent’anni dopo dire candidamente ci eravamo sbagliati, dopo avere terminato di godere dei vantaggi ottenuti grazie all’errore.
Veniamo all’open source e a Microsoft, un cui alto dirigente
ha dichiarato questo:
Tu non sei un insegnante. Quindi dovresti fare a meno di impicciarti in faccende come l’insegnamento a distanza, mi è stato detto.
Verissimo, non sono affatto un insegnante.
Sono andato in un posto pieno di insegnanti: la rivista Tecnica della scuola, una testata prestigiosa come minimo per il fatto che vive dal 1949. Il sito è per certi versi ruspante ma neanche impossibile, considerato che i contenuti sono davvero molti. Attorno alla testata deve esserci attenzione considerevole e primariamente da parte, appunto, degli insegnanti.
Un tema importante sul mio desktop digitale in quest’ultimo periodo è stato la ricerca.
Dati distribuiti su apparecchi diversi, accessibili in modi diversi, con differenti possibilità di elaborazione e analisi. A guardarlo da lontano è uno scenario da incubo. Senza contare la mole di dati che arriva dalla cerchia esterna (amici, contatti, colleghi, quindi per esempio messaggi in quindicimila formati diversi, su piattaforme molto chiuse). Per non pensare allo spazio esterno, cioè Internet e addentellati.