Ho anticipato – penso – Protocol nel
parlare del fenomeno Plain Text Sports, il sito solo testo dedicato agli sport americani.
Protocol naturalmente
allarga il discorso e aggiunge un paio di cose che meritano il rilancio.
La prima e più importante è che di siti solo testo ne esistono a bizzeffe e neanche mancano i browser solo testo, nessuna novità su questo.
Plain Text Sports si distingue però per avere un output semplice, semplicissimo, abbinato a una notevole complessità dietro le quinte. Il lavoro che permette al sito di esistere e continuare ad aggiungere nuovi sport non è affatto banale. Basta poi dare uno sguardo al codice per vedere che nelle pagine web c’è abbondanza di Css e di JavaScript: testo puro è diverso da dire Html base e può benissimo implicare la sofisticazione. Purché sia interna, nascosta, e che il visitatore possa beneficiare di un lavoro svolto per nascondere la complessità dell’organizzazione delle informazioni.
Antefatto: si lavora a circa tremilacinquecento post prodotti durante la prima incarnazione del blog, Ping!. La loro struttura va uniformata allo standard attuale prima di poterli rimettere online.
Erano altri tempi e, per tenerli organizzati, il nome file cominciava con tre lettere: il nome del primo post cominciava con aaa, il nome del secondo con aab, quello del terzo con aac e così via.
Arrivati a aaz, il post seguente iniziava con aba, e poi abb, abc… fino a che mettevo la prima serie di file in una cartella dal nome aaa-aaz. Poi arrivava la cartella aba-abz. Quella dopo era aca-acz eccetera.
Ci si abitua a dire con la morte nel cuore ma, nel caso degli eventi correnti, non ha alcun senso; la morte vera è là fuori e investe materialmente migliaia e migliaia di innocenti, di colpevoli, di ignari, tutti.
Si vorrebbe parlare di una eccezionale cover story sul sito del Financial Times, che
riassume l’andamento del conflitto e ne spiega le dinamiche. L’avremmo tutti gradita maggiormente se fosse stato possibile dedicarla ad altri argomenti.
Pur con qualche (notevole) eccezione come gran parte delle cellule cerebrali, non siamo gli stessi di un anno fa e neanche quelli di ieri. Nel nostro corpo cellule nuove sostituiscono quelle vecchie e gli organi rimangono sempre quelli, solo che delle cellule individuali perdiamo ogni traccia, e giustamente, essendo decine di migliaia di miliardi.
Lo stesso, su scala infinitamente e misericordiosamente più piccola, avviene nei nostri Mac. Un aggiornamento modifica file annidati nelle viscere del sistema, un elemento dell’interfaccia cambia impercettibilmente una sfumatura di colore, una plist guadagna o perde elementi secondo convenienza e così via.
C’è così poco materiale italiano decente su Apple che non sia copiato, tradotto, ripetuto. Eccezione che conferma la regola: Misterakko che su Quora
spiega in poche righe, con tutti i link del caso, la vicenda che ha scatenato l’ultima polemica sul supposto right to repair.
Lo YouTuber che compra due Mac Studio per smontare il disco da uno di essi e metterlo sull’altro, per avere un Mac Studio con due unità Ssd (oppure, più probabilmente, per guadagnare una manciata di visualizzazione con un contenuto di poco valore).
Giorni fa
spiegavo a un pubblico selezionato che siamo diventati tutti IT Manager e che la figura professionale stessa è da riconfigurare (cosa vera da almeno quindici anni). Uno dei motivi è che, se nella preistoria era tanto trovare un computer appoggiato sulla scrivania dell’ufficio, oggi viviamo con due, tre cinque computer intorno a noi, parlando solo di quelli personali. E andrà sempre peggio, ho chiosato.
Si prenda per esempio il nuovo
Studio Display di Apple. Un monitor? Dipende da come lo si guarda. Si potrebbe anche vederlo come
un device iOS equipaggiato con la versione 15.4 del sistema operativo e sessantaquattro gigabyte di disco (grazie a tf42 per la segnalazione), anche se sessantadue di questi sono inutilizzati. Per ora.
Non trovo dimostrazione attuale della potenza della rete e del testo puro più cogente dell’incredibile
PlainTextSports.
Per un appassionato di sport americani, è una fonte di aggiornamento pazzesca per velocità, sintesi, dettaglio e panoramica.
Ma un altro appassionato, magari di statistica, resterà ammirato dal servizio e dall’essenzialità.
Se poi la passione è per la rete e per il software ingegnoso, beh, c’è solo da entusiasmarsi di fronte al lavoro di
una singola persona, che però è capace di programmare e concepire flussi di dati con pulizia mentale estrema.
Ho appena rinnovato la mia iscrizione a
LibreItalia e potresti farlo anche tu. Costa dieci euro (se lo fai entro fine marzo, meglio).
Ogni tanto vengo chiamato in causa perché sostengo il software libero ma uso Mac, macOS, quei device chiusi come iPad o iPhone eccetera.
Visto che i ragionamenti normali non funzionano tanto, provo a sostenere una opinione paradossale e vediamo se va meglio.
Il software proprietario non mi dà alcun fastidio.
Negli ultimi anni il software Apple, specie su Mac, ha avuto i suoi bei chiaroscuri. L’amico Riccardo parla senza mezzi termini di
stagnazione e io non sono d’accordo ma perché penso che esageri, non perché non ci siano, appunto, questioni aperte e situazioni non proprio ottimali in qualche zona dell’ecosistema.
Eppure la grazia e la magia di Universal Control sono qualcosa che, nonostante se ne sia parlato a lungo, emoziona come la festa di compleanno a sorpresa. Ecco che sulla scrivania ci sono due, tre, cinque apparecchi, e insieme diventano una stazione di lavoro unica, una tastiera e un trackpad si occupano di tutti e tutto, gli schermi separati sono come uno solo.
È grazie a
Misterakko se ho potuto leggere un lungo e molto interessante
articolo di Brandon Sanderson sullo stato dell’editoria libraria, almeno dal suo punto di vista.
Il suo punto di vista conta qualcosa, dato che vende libri nell’ordine delle centinaia di migliaia di copie ciascuno.
In questi giorni ha lanciato un
progetto Kickstarter per sfornare quattro libri entro fine anno o giù di lì. Ha chiesto novecentomila dollari di prefinanziamento; mancano più di dieci giorni alla scadenza ed è già a quota ventisette milioni. È il progetto Kickstarter più finanziato di tutti i tempi.