Quando uso una parola – disse Humpty Dumpty in tono di scorno – significa quello che ho deciso che significhi; niente di più, niente di meno.
Il problema è – disse Alice – se tu possa dare alle parole così tanti significati differenti.
Il problema è – disse Humpty Dumpty – chi debba comandare. Tutto qui.
( Lewis Carroll, Attraverso lo specchio)
Il problema del cambiamento pro domo propria del significato delle parole è centrale e un sacco di gente oggi prova a ridefinire un software come intelligente o capace di comprendere coniando una definizione di intelligenza e comprensione che si adatti a ciò che in mente, sperando di imporla se appartiene una maggioranza o, comunque, magari per convincere un finanziatore a tirare fuori denaro. È un comportamento deprecabile, analogo a quello di certi politici che operano lo stesso trucco su parola come democrazia o libertà.
Nel riconoscere che certi termini hanno comunque sfumature che impediscono di assegnare significati veramente univoci, quantomeno bisognerebbe seguire persone che, se proprio sentono l’esigenza di modellare i significati delle parole, lo facciano con un minimo di onestà e rigore.
Può tornare utile l’esempio di Yoav Shoham, scienziato che in un seminario condotto dall’Università di Stanford ha parlato di come comprendere la comprensione.
Shoham decide che il criterio per valutare la comprensione sia la capacità di rispondere alle domande. Ci sono obiezioni autorevoli di lunga data a questa posizione; più pedestremente, un neozelandese ha vinto il campionato di Scarabeo in francese senza sapere il francese, grazie all’apprendimento di un immenso elenco di parole francesi delle quali non aveva, appunto, la comprensione. Però, appunto, usa un approccio scientifico e quindi permette eventualmente a un interlocutore di mettere in discussione il suo modello.
Lungo la presentazione vengono definiti scientificamente criteri di definizione e misurazione. Un’entità sa rispondere alle domande se genera un livello di soddisfazione x in chi ha formulato la domanda; è lecito rispondere non so ma non su tutto; viene data una definizione di ridicolo per affermare che un’entità capace di comprendere non deve mai rispondere coprendosi di ridicolo; e altro ancora.
Shoham è un adepto di Turing (come il sottoscritto, dieci livelli più sotto) e ritiene che non siamo in grado di definire vincoli rispetto a che capacità umane possono essere imitate da un computer. Alla domanda Allora, i computer possono comprendere? – misurata sulla sua definizione piuttosto concessiva di comprensione – la risposta è
Sì, possono, ma non oggi.
So, yes they can, but don’t yet.
E questo dovrebbe essere abbastanza per chiudere una discussione sul tema.