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24 feb 2021 -

Di male in peggio

Il principio della richiedibilità di un rimborso per l’acquisto forzato di una licenza Windows è assodato da anni.

Mai peraltro come nel caso di Luca Bonissi, qui riassunto da Simone Aliprandi, il giudice ha determinato altrettanto esattamente dove si trovi il merito.

Bonissi ha comprato un computer Lenovo nel 2018 e ha chiesto formalmente il rimborso per la licenza di Windows inclusa e non evitabile nel prezzo di vendita: Lenovo ha fatto di tutto per non pagare, ma lui è arrivato fino al giudice di pace, presso il quale è stato imposto all’azienda il pagamento di 42 euro come rimborso della licenza più 130 euro di spese processuali.

Lenovo si è impuntata e, oltre a rifiutarsi di pagare, ha impugnato la sentenza presentando cinquantanove pagine di obiezioni (motivi per obbligare la gente a pagare per Windows anche se non voleva farlo).

Il Tribunale di Monza ha dato ragione a Bonissi e ha anche imposto a Lenovo il pagamento di ventimila euro aggiuntivi come punizione:

[per avere] abusato dello strumento impugnatorio costringendo la controparte […] a replicare […] ad una produzione difensiva assolutamente sproporzionata […] esemplificativa della prepotenza e prevaricazione di un colosso commerciale nei confronti di un modesto consumatore.

Ora è chiarissimo e pure quantificato il problema di Windows per gli individui e la società: un bene di pochissimo valore intrinseco, la cui imposizione genera danni enormi, cinquecento volte lo scarso valore di base.

Spendi male e riesci a farti molto peggio senza accorgertene, insomma, salvo eccezioni illuminate.

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