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Dal mondo Apple all'universo digitale, in visualizzazione rapida dell'ovvio

10 mar 2020

L’odore della cattedra

Fabrizio Venerandi è come sempre anni avanti a chiunque. Il suo post su Facebook in versione integrale:

Mi piacerebbe sapere quelli che dicono che l’insegnamento vero si fa solo in classe, a quanti corsi di didattica a distanza abbiano partecipato. Dico, professionali, non improvvisati da qualche università italiana con slide e uno che parla monotono leggendole in camera fissa.

Perché io negli ultimi vent’anni ho seguito diversi corsi in inglese di università americane, sui metadati, sulla programmazione JavaScript, sulla scrittura di videogiochi in Python, sugli automata e sono state tra le esperienze di insegnamento più motivanti che mi siano capitate.

Potrebbe bastare. Ma seguono i commenti: spaccato dal mondo della scuola.

Più o meno, commentano i migliori sulla piazza. Quelli che almeno ci provano, che hanno avuto qualche esperienza, che non oppongono un rifiuto netto. La media tuttavia è chiara: quando va bene, la didattica a distanza è stata una buona eccezione alla regola e niente di più.

Quanta scuola italiana è ferma a slide e uno che parla monotono leggendole in camera fissa o anche più indietro di così?

Soprattutto, può essere che un docente nell’anno duemilaventi non sappia di didattica a distanza e debba improvvisare costretto, sottolineo costretto, dal virus?

Poi capita di leggere che comunque le lezioni in aula sono meglio, che si insegna anche con il corpo, che è più difficile mantenere l’attenzione online e altro assortito. Dall’università c’è chi ironizza sulla propria improvvisazione:

Nella prima [lezione a distanza] pensavo di aver eliminato il video, e invece compaio in un angolino in basso a destra con il mollettone nei capelli, un po’ in avanti sulla fronte, come non vorresti farti vedere neanche dalla tua migliore amica.

Nel secondo credevo di aver messo in pausa invece no, dunque la lezione include come bonus una telefonata con mia sorella (rivedendola noto che non cambio espressione da una all’altra. e non mi sembra un buon segno).

Notare due cose: la totale indifferenza rispetto a quanto arrivi – o non arrivi – agli studenti e il coro entusiasta dei commenti, favorevole con maggioranza schiacciante.

Penso a che lezione sarebbe se il docente entrasse in aula e, seduto in cattedra, iniziasse a leggere con voce monotona il libro di testo, per un’ora. Una cosa orrenda. Fatto da casa invece diventa del tutto accettabile e ci si ride pure sopra. Penso a un anestesista che ironizza sulla sua improvvisazione, un controllore di volo, un pompiere. Certo a insegnare male non si rischiano danni seri. Non subito. Non evidenti. Se ti disinteressi di come insegni a cinquanta ragazzi l’anno, per vent’anni, hai insegnato male a mille ragazzi.

Dici che non si tratta del succo della lezione ma di come viene tenuta ed è un’altra cosa? Se viene tenuta così, posso immaginare come sia stata preparata.

Ho idea che gli idolatri della cattedra, dell’aula, della lezione frontale siano un insieme parallelo a quello dei libri di una volta, l’odore della carta, il fascino dell’inchiostro. Tutte cose condivisibili, solo che confrontare le gemme dell’analogico con l’immondizia del digitale è disonesto.

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