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Dal mondo Apple all'universo digitale, in visualizzazione rapida dell'ovvio

17 mag 2016

E ora qualcosa di completamente diverso

Condivido appieno la lunga analisi di Riccardo sulla cecità degli esperti di tecnologia, specialmente quelli che ne vogliono scrivere, nei confronti della persona media alla quale il computer interessa solo come strumento per fare determinate cose e niente più.

La questione sulle interfacce e sulle modalità di utilizzo di iOS rispetto a Mac mi pare invece meritevole di un modesto approfondimento. Premessa: certamente sono di parte. Queste note nascono mentre sono a letto e scrivo con iPad. Certamente fare la stessa cosa con un Mac non avrebbe lo stesso livello di comodità e naturalezza. Quindi per quanto ami il mio Mac, devo riconoscere che certe cose le fa meglio lui, ma altre le fa meglio iPad (altro esempio: scattare fotografie e comporre al volo una presentazione che ne fa uso. Mi è successo di recente e con iPad è stato divertente. Con Mac, come minimo, avrei avuto bisogno di un apparecchio extra per scattare le foto). A volte è più veloce l’uno, a volte l’altro. A volte è questione di percezione: una operazione non abituale, per esempio passare un file da una app a un’altra app su iPad, sembra più lenta che, per dire, aprire un file su Mac da menu contestuale via Apri con nome. Provare per credere, non è scontato.

La mia opinione è che chi ha conosciuto l‘informatica vecchio stile, prima degli apparecchi da tasca, sia convinto della necessità di certe operazioni o situazioni. E concepisca il computer come è stato concepito ai tempi di Apple ][: uno strumento general purpose, buono per fare tutto, ottimo per risolvere problemi – così voleva la battuta – che prima di lui non esistevano. Le cose sono cambiate. Abbiamo apparecchi molto più adatti a fare certe cose più che altre; abbiamo più di un computer a testa, è sovente ci sono compiti che preferiamo svolgere su iPad o su iPhone o su Mac, perché è meglio. Computer come MacBook quasi urlano la propria specificità: perfetti per alcune cose, meno indicati per altre, nel qual caso è quasi dichiaratamente meglio ricorrere ad altri computer.

La concezione di quell’informatica è diventata, per molti, il modo unico e convenzionale di praticarla. Se qualsiasi cosa si allontana da quel modello, è intrinsecamente sbagliata. Spesso, il delitto più grave, richiede l’apprendimento di nuove nozioni.

Per esempio il file manager. C’è chi ritiene sia necessario alla sua attività e OK. Altri ritengono che farne a meno sia una mancanza del sistema, dell’interfaccia, del prodotto. E qui si va più in là del previsto.

Da molto tempo il mio Finder, banalizzando, va da solo. Spotlight e cartelle smart hanno da tempo eliminato il bisogno di una organizzazione rigorosa in cartelle classificate disposte a mano. Per alcuni, invece, questa è una esigenza insopprimibile. Sento parlare di ordine, negli stessi termini che per una aiuola o la cabina armadio. Vero che anni fa, quando si gestivano cinquanta file, disporne amorevolmente le icone nella sequenza voluta aveva un senso. Oggi i file sono cinquecento, cinquemila, a me provvedere manualmente sembra un assurdo, specie quando posso interrogare il sistema anche per conoscere le foto scattate a Ladispoli lo scorso weekend. E lui risponde, mostrandomele.

Già su un Mac, le icone e le cartelle servono sempre meno o servono niente (e bisogna rivalutare il partito di quelli che per intervenire sul‘organizzazione dei file usano il Terminale. Minoranza, cui appartengo, che va veloce e risparmia risorse). È perfettamente concepibile che un iPad ne possa fare a meno, magari appoggiandosi a iCloud Drive se proprio c’è una situazione cosi problematica – e rara – da essere irrisolvibile altrimenti. Davvero iPad ha qualcosa meno perché non ha icone di file da spostare o rinominare? Secondo me è l‘apparecchio sbagliato per quella persona o per quella attività, non è un sistema sbagliato.

Altro argomento rilevante è la discoverability. Giustamente i meno giovani tra noi sono cresciuti con un Mac dove la barra dei menu conteneva tutte le opzioni di prodotto possibili. Per capire come usare un prodotto, si esplorava la barra dei menu. Alcuni soffrono perché, messi davanti a un iPad, non vedono immediatamente i comandi a disposizione.

Sono apparecchi diversi, sono cambiate le condizioni, la complessità, le aspettative. Impossibile che l’interfaccia si comporti nello stesso modo. Un iPad non mostra la tastiera; da nessuna parte c’è una indicazione di come farla apparire. Qualcuno ha problemi a usare la tastiera di iPad per questo? No. Nel contesto appropriato, tocchi lo schermo e la tastiera appare. Il Mac originale non poteva neanche concepire l‘esistenza di GarageBand. Usarlo su iPad è quasi una magia. Ma anche su Mac! Un programma di editing audio ha bisogno per forza del linguaggio gestuale, i menu da soli non bastano. Non bastano più. E quando leggo i messaggi di Slack su watch? Come faccio a pretendere indizi visivi sullo schermo di un orologio, quando c‘è lo spazio per leggere il messaggio e davvero nient’altro? Il computing sta diventando pervasivo, immerso nella nostra vita. È possibile che alla fermata dell’autobus si estragga un computer per sapere a che ora arriva il bus, o per informare un collega che stiamo arrivando. Ci vuole un menu o meglio un microfono per dire messaggio al collega: sono in arrivo? Non esiste una interfaccia che possa spiegare esattamente che cosa si deve dire in un microfono per ottenere un risultato preciso. Bisogna provarci e scoprirlo. Che alla fine non è diverso dalla scoperta che si faceva tramite l’esplorazione del mouse. Al punto che tra pochi giorni ci diranno come sarà possibile dire le cose al microfono del Mac. E disporre le cartelle sullo schermo apparirà ancora meno essenziale.

Questo post dovrebbe essere più lungo e approfondito, ma ho già abusato del tempo del lettore. Chiudo in sintesi: non possiamo aspettarci che ogni novità, ogni progresso, ogni cambiamento si conformi a quanto eravamo abituati a fare da giovani. Il computing richiede una piccola dose di apprendimento costante. Ma anche l‘architettura o l’ingegneria: quelli che si sono laureati trent’anni fa e non hanno più imparato niente da allora, sono diventati irrilevanti. Se hanno ancora il loro lavoro di una volta, stanno tirando la pensione. Non è sbagliato il mondo: è sbagliato fermarsi. Mia figlia avrà diciotto anni nel 2032 e quel mouse tanto prezioso per scoprire come funzionavano i programmi, lo vedrà solo al museo.

(post scritto e pubblicato interamente via iPad, usando Editorial per scrivere e sincronizzare su Dropbox, e Prompt per predisporre la pubblicazione sul blog. Le cartelle? Non servono.)

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