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Dal mondo Apple all'universo digitale, in visualizzazione rapida dell'ovvio

5 dic 2015

Programmatori giapponesi

Un po’ abusato, il paragone con i soldati giapponesi nascosti in una giungla che sono andati avanti a combattere la Seconda guerra mondiale per altri trenta o quarant’anni, fino a che li hanno trovati.

Eppure nelle giungle social si trova ancora qualche giapponese pronto a spiegarci che iPad non è un vero computer perché non ci si compila sopra, o perché su iPad non si può scrivere una app per iPad, o altro a scelta tra le fantasie più gettonate.

Per prepararli a quando verranno a prenderli: a mantenimento delle promesse fatte a giugno, Apple ha reso open source il codice di Swift e una serie di componenti a contorno. Si trova tutto su GitHub.

In concreto, Swift open source significa che il linguaggio può essere arricchito e migliorato a piacere e anche usato su sistemi e in modi non contemplati (ma previsti) da Apple fino a oggi.

La notizia è vecchia di due o tre giorni e già è apparso l’esperimento di IBM con Swift Sandbox. Il principio dei playground di Xcode – campi gioco virtuali in cui scrivere e collaudare codice Swift senza preoccuparsi di compilazioni e formalità burocratiche – è stato portato su web, dove basta un browser per scrivere codice a sinistra e vedere l’esito a destra. E il motore gira sopra… Linux.

È tutto una gran beta: adesso funziona e adesso no, adesso c’è ma è inattivato, adesso funziona ma va piano eccetera. Tuttavia è apparso nel giro di tre giorni, e da una Ibm.

Fai conto che domani diventi uno strumento affidabile e collaudato, come un qualunque CodeAnywhere. O che a qualcun altro venga l’idea di farlo senza scomodare Ibm.

Fai conto che per iPad ci sia la sua brava app. E ancora una volta, ecco servita la programmazione anche al giapponese.

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