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Dal mondo Apple all'universo digitale, in visualizzazione rapida dell'ovvio

24 ago 2013

L’economia della scarsità

Si afferma spesso nei consessi che Internet sia speciale in quanto tutti gli altri mercati assegnano il valore in base alla scarsità dei beni, mentre nella rete vale piuttosto l’abbondanza (se il mio messenger è usato da mille persone, non vale niente; se sono un miliardo, vale tantissimo).

Non c’è che provare il brivido di trovarsi – per un paio di settimane ancora – in un luogo dove la connessione è scarsissima. Dove, per puro esercizio di stile, provi a scaricare la versione di Xcode preliminare da usare in Mavericks e Safari risponde che alla velocità attuale ci vorranno ventinove giorni, undici ore e trentanove minuti. Ché i minuti sembrano una presa in giro, piuttosto si potrebbe vedere un calendario lunare per capire se si scarica di più con la crescente o la calante.

La necessità aguzza l’ingegno e l’esperienza è comunque utile, perché si capiscono subito quali tecnologie sono buone per sopravvivere e quali invece no. Guai, per esempio, a spedire con la posta elettronica, perché i messaggi cercano all’infinito di partire e non si completano mai. Inutile provarci con un server Ftp, perché la connessione cadrà matematicamente prima di finire e, ache se il server sapesse riprendere il caricamento da dove si era interrotto, poi bisognerebbe dubitare dell’integrità dei file così trasferiti.

Invece si usa Dropbox (o similare). Se si tratta di una nuova versione di un file già inviato, viaggiano solo i cambiamenti; se è un file nuovo e ha dimensioni modeste, lo si lascia lì all’infinito. Ogni tanto Dropbox trova la banda, carica qualcosa, poi la banda non c’è più ma qualche byte è passato. Alla lunga, si può sperare che funzioni. A volte, di notte, forse perché si svuota la cella, c’è connessione decente. A volte. Se si lascia il computer acceso, e naturalmente se la connessione non cade tre minuti dopo essere andati a dormire, si può sperare la mattina di avere concluso qualcosa.

Il Terminale è la classica mano santa, perché consente per esempio di usare rsync. Octopress ne approfitta per eseguire una sincronizzazione tra Mac locale e server remoto dei soli elementi che sono cambiati, singolo file per singolo file, con un protocollo molto resistente ai problemi e ostinato nel perseguire il risultato. Se questo blog fosse maneggiato via Wordpress, probabilmente non riuscirei ad aggiornarlo. Le pagine web complesse non arrivano quasi mai a completamento e, se mi servono informazioni, le recupero – con un po’ di fortuna – da Lynxlet, il browser solo testo che le aziende più avvedute rendono tuttora usabile. Al quale avevo già fatto ricorso. Mai cercare più di una pagina per volta, altrimenti ne arrivano zero. Dimenticare il multitasking e fare rigorosamente una cosa per volta.

Si impara infine a capire quali sono i giochi per iPad da veri duri. Sono quelli che partono anche se Game Center è inaccessibile. Sono quelli autocontenuti che non hanno bisogno di scaricare alcunché da Internet. E che, se è disponibile un aggiornamento, non pretendono di completarlo automaticamente prima di farti iniziare a giocare, o almeno offrono un pulsante per rinunciare in attesa di condizioni migliori.

Soprattutto, se si ama il multiplayer questo deve essere possibile in hotseat (un solo iPad passa di mano in mano turno dopo turno) e in rete locale, Wi-Fi o Bluetooth. I giochi multiplayer veramente tosti creano essi stessi opzionalmente la rete. E non hanno bisogno, non sempre almeno, di trovare un server su Internet.

L’economia della scarsità, applicata alla rete, tempra e però risulta irritante. Mica per le mie pseudovacanze, ma perché questa dovrebbe essere una nazione tra le prime nel mondo per civilizzazione. Si può pensare quello che si vuole, ma la banda cellulare oggi è un indicatore di civiltà.

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