La scuola è davvero finita per questa stagione e i bambini ormai quasi ragazzi neopromossi alle medie, percepito che non si vedranno più in aula per un po’, diversamente dagli anni passati hanno cominciato a chattare.
In Google Diapositive.
Lo hanno scoperto nel bene e nel male qualche tempo fa e adesso lo usano: qualcuno ha creato una presentazione e spontaneamente hanno organizzato una formattazione per capirsi, con un formato fisso per scrivere e un colore specifico assegnato a qualcuno.
Ora scrivono messaggi dentro le slide e aggiungono una slide quando non basta lo spazio: come esempio di intraprendenza a prescindere dallo strumento, i contabili che scrivono le lettere di accompagnamento in Excel o gli articoli scritti in FileMaker neanche li vediamo.
Non è che siano genî, eh: più o meno tutti i bambini arrivano a un punto del genere, all’intersezione tra una prima ridotta disponibilità di strumenti, la crescita e lo sviluppo della personalità, cambiamenti pivotali proprio come il passaggio da primaria a secondaria.
Invece fa riflettere su quanto faccia parte di noi la comunicazione e il rapporto con gli altri. Troppe volte si pone l’accento sugli strumenti e sul loro eventuale abuso. Diciamo piuttosto che esiste un’esigenza insopprimibile e, se ci sono strumenti atti allo scopo (se non strumenti e basta), qualcosa ce li fa usare, subito, per comunicare.
Gira e gira, si ritorna all’ impostazione di Jeff Bezos per Amazon e al suo memo basato sulla considerazione che communication is a mess, comunicare è un casino. Si può sudare per organizzarla ma proprio è insopprimibile e spunterà da ogni crepa di ogni eventuale barriera.
Poi ci sono i gruppi WhatsApp, lo so. Ogni strumento digitale verrà abusato, prima o poi, comunque. È un casino anche questo, insopprimibile anche questo.