Da giocatore di basket, quando avevo le giornate sì, quelle in cui qualsiasi tiro entra, tutto viene facile, danzi sull’avversario, dicevo colloquialmente che avevo la mano grande. L’impressione era che la palla fosse un giocattolino leggero e addomesticato, di cui disponevo con facilità, così piccolo rispetto alla mano.
Ovviamente, nelle giornate no sentivo di avere la mano piccola.
Da tempo la scienza ha dato un nome serio alla condizione da giornata sì: il flow, il flusso. Il flusso esiste come condizione virtualmente in qualsiasi attività umana. Questo è l’inizio della giornata secondo Terrible Software quando tutto, per un programmatore, gira bene:
Sono le otto e quarantasette, sul tavolo c’è un caffè fumante, le mie cuffie mi coccolano con la playlist perfetta. Entro su Asana, dove so PERFETTAMENTE che cosa devo fare oggi. Apro Neovim e il codice inizia a SCORRERMI attraverso. Ho perso il senso del tempo; sono completamente presente nel momento.
In quei giorni arrivo a sera stanco ma appagato. Qualcosa riguardo la connessione diretta tra il pensiero e la creazione – dove le mie dita sono semplicemente un conduttore per tradurre idee in software funzionante – suona quasi trascendente. La lotta per risolvere problemi, le piccole vittorie lungo la strada e la soddisfazione di costruire qualcosa dal nulla… non sono solo aspetti del lavoro; sono la ragione per cui mi sono innamorato della programmazione.
La domanda è: proviamo le stesse sensazioni quando lasciamo la programmazione spicciola alla cosiddetta intelligenza artificiale? Vero che si è produttivi, ma c’è lo stesso appagamento? Il compromesso vale la pena?
Sono tutte domande aperte e non vengono date soluzioni. La risposta sta a ciascuno di noi. C’è un suggerimento, però: riservare almeno una parte della giornata, una parte del lavoro, a un’attività organizzata in modo da poterci trovare almeno un momento nel flusso, di cui essere contenti, dove la mano che crea è la nostra e non ci limitiamo al prompt engineering.
Lo ammetto: giocare a basket era faticoso ma straordinariamente appagante. Se avessi potuto istruire un robot a giocare al mio posto, la soddisfazione di programmarlo sarebbe stata equivalente al piacere fisico di dare un assist al mio compagno di squadra? A infilare tre punti in faccia al difensore? A rubare palla per avere intuito prima degli altri la linea di passaggio?
Penso che il suggerimento di lasciare almeno una parte di giornata a noi stessi, alle nostre doti, al nostro flusso, ci aiuti. In qualsiasi attività, lavoro, situazione.