Giuro che non l’ho inventato io, l’articolo di VelvetShark intitolato Perché i loghi delle aziende di AI somigliano ad ani? Non è neanche una burla, né una parodia o una satira. Si dichiara umoristico, ma rivendica l’appoggio su fondamenta più che veritiere.
Invece è un pezzo serio e di valore sul trend imperante di omologazione e conformismo che attraversa la comunicazione di prodotto di oggi. Lo si vede con i logotipi, i marchi scritti per esteso. Sempre più, i font caratteristici, unici, pensati per spiccare, lasciano il passo ad altri sostanzialmente tutti uguali fra loro, come se il nuovo obiettivo fosse confondersi nella folla.
Allo stesso modo, tutte o quasi le organizzazioni che si occupano di intelligenza artificiale hanno adottato loghi circolari o a base esagonale. C’è dietro una idea di rimando alla grandezza dell’infinito e contemporaneamente l’assenza di spigoli vivi suggerisce innocuità, elemento opportuno per prodotti che promettono di rimpiazzare lavoratori umani. A volere pensare male, tuttavia, l’effetto sfintere è evidente e nell’articolo c’è un parallelo clamoroso con un celebre disegno di Kurt Vonnegut.
Il linguaggio visivo delle aziende che dovrebbero essere all’avanguardia è omologato e identico a sé stesso, a livello deprimente. Viene facile tracciare un parallelo con la tecnologia venduta. Certamente non è tempo di mele morsicate o capolavori da museo del design come il logo di Sun Microsystems.