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24 dic 2024 - Internet AI

Un sassolino da Woodstock

Da domani si parla di cose allegre o disimpegnate, o allegre e disimpegnate, si parla di festa. Prima però mi tolgo un sassolino.

In quel poco di Facebook che mi tocca frequentare per lavoro è un attimo trovare materiale finto fotografico creato a mezzo chatbot. Nessuna sorpresa, niente che non sia già stato visto e previsto e stravisto.

Nonostante questo, c’è un thread che mi suscita un fastidio profondo. Il testo racconta le cose fondamentali sul festival di Woodstock del millenovecentosessantanove ed è del tutto prevedibile, copiato da Wikipedia se non generato dal chatbot. Non ho effettuato fact-checking, ma sembra vero e innocuo.

È accompagnato da immagini di giovani donne, vestite da rave rustico, come potrebbero esserlo state a Woodstock. Solo che non possono. Ci sono piercing che non c’erano, tatuaggi che non usavano, abiti che non si portavano a quel modo, nudità che non erano di quel tipo. Inoltre, sulle ragazze e sullo sfondo, è del tutto assente il fango o lo sporco.

Avevo sette anni quando si è tenuto Woodstock. Riporto quando spiegano nei commenti le allora ragazze che c’erano, o le figlie di madri che c’erano, o altri che c’erano. Corrisponde a tutta la documentazione visiva che mi è passata finora sotto gli occhi.

Questi commenti sono solo una parte del thread. Il resto è di repressi che argomentano attorno alle ragazze, come in qualsiasi altro post che mostri un po’ di pelle. Altri farfugliano commenti smozzicati sulla musica, sul festival, sui tempi che cambiano, sui cantanti, la solita melma social.

In mezzo a cinquecento commenti se ne trova qualcuno, una manciata, ad affermare che le foto sono false e nessuno li ascolta, come è logico, ma perdono il punto.

È il ricordo che diventa falso, il falso più subdolo secondo Gaber, quello misterioso e assai oscuro se mescolato insieme a un po’ di vero. È agghiacciante che il novanta percento dei commenti prenda per scontato il materiale fotografico. Una ragazza del millenovecentosessantanove non poteva avere un piercing al naso o la testa rasata per metà alla goth-punk, ma non è un punto di interesse.

È una specie di prova generale. Ci sono ancora reduci di Woodstock o parenti con cognizione di causa. È stato un evento, abbondano i media che lo hanno raccontato, filmato, fotografato. Che male può fare un fake ingenuo tirato su da un ignorante per guadagnare qualche dollaro?

Certo. Che cosa accadrà quando inizieremo con la prima guerra mondiale o con l’epidemia di influenza spagnola? Quanto ci vuole prima che la famiglia Crawley entri nei libri di storia come se Downton Abbey fosse un reality?

Nel thread compare anche una foto di Olivia Newton-John che porta a spasso il cane al guinzaglio, in mezzo al pubblico. È qualcosa di fuori dal mondo, socialmente, culturalmente, geograficamente, tutto.

Qui la foto è falsa perfino tecnicamente in modo palese. Ma non importa, pare.

Non è tecnologia, non è progresso, non sono strumenti nuovi che ci aiutano a fare un passo avanti. È guano di piccione che si accumula sulle superfici del sapere e le corrode. Il chatbot lo uso, eccome; fa risparmiare tempo e organizzazione. Gli antidolorifici aiutano milioni di persone a superare gravi malattie, interventi chirurgici, traumi altrimenti ingestibili.

Non possiamo fare a meno degli antidolorifici. Se però riducono milioni di persone altrimenti sane in zombie, come accade negli Stati Uniti, bisogna fermare quelli che ne incoraggiano l’abuso. Così come quelli che inventano foto di Woodstock.

E ora basta perché ho da occuparmi di albero, presepe e dolcetti. Non c’è nonostante degno di sminuire la festa.

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