In qualità di consigliere di istituto, sono reduce dalla approvazione della delibera che recepisce le linee guida ministeriali in termini di educazione civica.
L’educazione civica si compone anche della branca di cittadinanza digitale, che prevede obiettivi non esattamente esaltanti come imparare a usare Office e Google Workforce. Ah, e l’intelligenza artificiale.
In pratica si mira a formare nella scuola i meri esecutori di domani, pronti per prendere ordini e obbedire in cambio di uno stipendio qualsivoglia. L’insignificanza digitale di una nazione inoculata grazie al disinteresse di chi non capisce, quello di chi non sa e quello di chi ha ben altro per la testa anche se si occupa di scuola.
Questo, naturalmente, mentre vige il divieto di usare apparecchi elettronici a scuola.
Lo spirito, è stato spiegato, consiste nel vietare gli smartphone (a chiunque, compresi i docenti); l’uso del tablet invece è permesso.
Come consigliere, non posso ovviamente dismettere una norma che arriva dall’autorità superiore; al tempo stesso, come persona minimamente informata sull’argomento mi rifiuto di avallare un quadro normativo di questo tipo.
Tra l’improprietà del disapprovare e l’impossibilità etica di avallare, mi sono astenuto.
Esiste anche il principio dell’autonomia della scuola e i prossimi mesi saranno un bel banco di prova per vedere se e come si può navigare di bolina, con il vento contro ma determinati a fare il bene dell’equipaggio e dello scafo.