Recentemente si è tenuta una elezione di discreta importanza in un Paese lontano. Ho letto il pronostico finale formulato da FiveThirtyEight, non gli ultimi arrivati: cinquanta contro cinquanta.
Mi sono scandalizzato: cinquanta a cinquanta dovrebbe essere il pronostico iniziale, quello che esprimerebbe il marziano di Flaiano appena atterrato a Roma, ignaro di tutto.
Dici: si saranno sbilanciati. Il loro lavoro consiste nel fare una previsione. Se siamo in parità, metà dei pronostici si sbilanceranno a vincere e l’altra metà a perdere, dato che l’evento campionato prevede quasi sempre una vittoria, anche se i voti sono spartiti in ugual misura. Esiste la possibilità del pareggio, che tuttavia si è verificata con frequenza trascurabile al punto da sembrare nulla.
Invece no. Nessuno si è sbilanciato.
Eppure hanno passato settimane a diffondere sondaggi di ogni genere, da quelli irritanti come il peperoncino sul voto popolare (che, oltre a essere sbagliatissimi con il senno di poi, contano zero sull’esito finale) a quelli sui singoli Stati chiave, con i due candidati invariabilmente separati da un punto o due e un margine di errore di tre punti o quattro, il post scriptum a segnalare i più avveduti della totale inutilità del risultato.
Dovevano chiamarlo margine di orrore.
Per settimane hanno stressato la gente con il voto per posta, la chiamata alle armi da parte dei candidati, le campagne per andare a votare. Alla fine uno ha perso rispetto al duemilaventi tre milioni di voti su oltre settanta, che vabbè, sono una frazione. L’altra però ha perso quindici milioni di voti su ottanta, roba nei dintorni del venti percento. Un’enormità di cui nessuno ha parlato prima, che nessuno ha previsto, di cui nessuno si è accorto, che poteva probabilmente dare una indicazione sull’esito, se qualcuno avesse saputo rilevarla.
È stata un’elezione anomala, dice. Col cavolo: il problema affonda negli anni. Quattro anni fa c’erano le stesse indecisioni, gli stessi Stati chiave too close to call, gli ingrandimenti fino alla singola contea (mancava solo si arrivasse al quartiere) pur di trovare qualche stranezza, qualche anomalia, qualche indizio di qualcosa.
Otto anni fa, il problema è stato opposto. FiveThirtyEight capitanava l’armata dei sondaggisti concordi nel preassegnare la vittoria alla candidata che invece è tornata a casa con una delusione cocente. Avevo seguito la notte elettorale proprio su FiveThirtyEight ed era stato incredibile constatare il cambio di tono progressivo, mentre ora dopo ora e Stato dopo Stato il pronostico per cui tifavano apertamente tutti gli articolisti si scioglieva come il pupazzo di neve la mattina dopo.
(Non sono cose che saltano fuori oggi per infierire sugli sconfitti del sondaggio: ne scrivevo otto anni fa).
Avevano sbagliato i conti, ma di molto. Occorreva una decisa correzione dei modelli e dei parametri. Immagino che l’abbiano applicata (nel frattempo FiveThirtyEight è stato acquistato da Abc, probabilmente a indicazione che si era perduto del valore). Se è servita per arrivare al non-pronostico dell’altroieri, si è sprecato del gran tempo.
È tempo di rifondare nettamente la disciplina. Prima di tutto, nessuno formula veramente pronostici: sono tutti sondaggisti, vanno in giro a interrogare le persone. È che la società si è maledettamente complicata; non basta più. Non è più indicativo, di niente. Non raggiungi la gente che veramente può guidarti verso una tendenza e spesso ti raccontano anche qualcosa di falso. Scegli canali che hanno perso quasi tutta la loro rilevanza rispetto a Internet, ai social, ai gruppi WhatsApp, ai grandi giochi multiutente dove sì, mentre il party si ingegna ad abbattere il boss, gruppi di amici parlano di tutto e a volte anche di politica.
La pubblicazione dei sondaggi si è involuta per diventare un modo per sbarcare il lunario senza dare vero valore a chi compra, esattamente la stessa implosione delle società di relazioni pubbliche che quarant’anni fa ti costruivano una reputazione e oggi, pagate un tanto al chilo, fanno le passacarte di comunicati stampa che nessuno legge a parte l’ufficio marketing, che deve fare la rassegnina stampa per giustificare le fatture.
Come se ne esce? Ci vuole un geniaccio con qualche idea folle e capace di convincere gli investitori a bruciare qualche centinaio di milioni alla ricerca di un modello predittivo buono per il XXI secolo.
I sondaggi sono inutili o quasi. Intanto, però, il consenso comune è che siamo tutti tracciati e tracciabili; le intelligenze artificiali o presunte tali sono comunque archivi di fette enormi del web, con sotto un motore di riassemblaggio delle informazioni. I dati potenzialmente a disposizione sono esplosi e abbondano in mille categorie.
Possibile che non si possa individuare una combinazione di analisi della spesa al fast food, importi delle multe a Capodanno, rotazioni medie del pallone nei tiri da tre punti, acque alte a Venezia e composizione del sangue dei donatori che consenta di elaborare una previsione vagamente accettabile sull’andamento delle presidenziali americane?
Quando pubblicavo mensili di informatica casalinga, il mio editore era fiero della sua edicola di riferimento, sita nell’hinterland milanese. Lui, impegnatissimo come si può immaginare, tuttavia bruciava una mattina al mese per andare dall’edicolante e chiedergli tutto. Perché quell’edicola rispecchiava regolarmente l’andamento delle vendite su scala nazionale e lui sapeva già da lì se andava bene o male.
Non è magia né superstizione, ma statistica. Nel mare magnum delle contee americane potrebbe essercene una (o una zona non corrispondente al confine ufficiale) che rispecchia nel tempo gli andamenti elettorali. Con tutto il ben di dio di datacenter, Gpu, cluster, cloud, machine learning di cui è provvisto il pianeta, perché non provare a trovarla e avere almeno un punto di partenza?
Può anche darsi che la complicazione della società abbia raggiunto un punto di non analizzabilità; che tutto sia talmente articolato da impedire una previsione realistica di che cosa combineranno tra le urne Joe e Jane (separatamente).
Ma almeno che si sappia. Pubblichiamo dei what-if su che cosa succederebbe se le donne ventiseienni con il pallino della bicicletta e proprietarie di un animale da compagnia decidessero di supportare in massa questo o quel candidato. A forza di pubblicarli, qualcuno coinciderà pure.
Però, basta sondaggi. Somigliano sempre più a colonscopie, con la differenza che non trovano niente.