Se fossi un angel investor, invece che buttare denaro nell’intelligenza artificiale surrettizia, cercherei una disruption nello spazio delle videoconferenze, che si trova in una involuzione malinconica, fastidiosa e deprimente.
Come si diceva qualche giorno fa, siamo rimasti ai mezzibusti ed è solo l’inizio. Zero educazione e formazione a parlare in un obiettivo; il dramma umano ed estetico dello sfondo salottiero è stato risolto eliminandolo e ora hanno tutti lo sfondo sfocato oppure quello finto, il loft, la spiaggia caraibica, una tristezza fantozziana infinita quanto l’omologazione.
Manca il protocollo per salutarsi, all’inizio e alla fine. Mancano sistemi per reagire visivamente in modo utile (alzare la mano serve poco, servono sì e no, servono domande a risposta multipla e ad esclusione, il software dovrebbe calcolare i risultati). La tragica condivisione schermo – oramai segnale di liberi tutti nel quotidiano – dovrebbe diventare una finestra sullo schermo degli spettatori, che mostra le cose effettivamente utili grazie a zoom ed evidenziazioni sullo schermo del presentatore.
Apple ha fatto in parte la sua parte: posto che tutti utilizzino FaceTime, funzioni come l’inquadratura che segue la persona o la possibilità di mostrare la superficie della scrivania sono ottime. Manca invece – purtroppo è l’unica in cui possiamo sperare – il grokking che Steve Jobs poco prima di morire aveva dichiarato di avere ottenuto con la televisione: smontare il meccanismo e capire come funziona realmente, per realizzare qualcosa capace di approfittarne e servire bene gli utenti, cioè alla fine l’azienda.
Per condividere un documento dovrebbe bastare trascinare un’icona sopra un droplet a forma di Mercurio alato (per dire) e questo apparirebbe come finestra galleggiante sullo schermo del pubblico. Dovrebbe bastare riassemblare delle icone per creare al volo stanze temporanee con un sottoinsieme dei partecipanti, che magari vogliono discutere un particolare in confidenza. Le chat sembrano un retropensiero; dovrebbe essere immediata mandare un messaggio a un singolo o a un gruppo.
Prima, molto prima di scomodare il metaverso – la gente ride, ma la realtà è che una riunione tra avatar su un’isoletta in Fortnite funziona molto meglio di una comparsata a sfondo finto nella sala riunioni tutti in grisaglia che è diventata Teams – si possono fare migliaia di cose. Un campo di ricerca che vale da solo una tesi: come riprodurre efficacemente i protocolli sociali della macchinetta del caffè, dell’incontro in corridoio, della persona che bussa e dice hai cinque minuti? Non sono tutti disturbi, a volte stemperano la tensione e fanno venire un’idea, quando siamo in ufficio ci viene voglia di fare una pausa e disturbare (in senso lato) un collega mentre i sistemi attuali di videoconferenza lo scoraggiano mortalmente.
Purtroppo diventa sempre più evidente che nemmeno le multinazionali vogliono o possono realizzare davvero la trasformazione digitale. Serve capacità di spezzare gli schemi, di andare fuori dal seminato, di fare proposte anche disturbanti ma capaci di spostare l’asticella decisamente più su.
Nel frattempo, se almeno rendessimo obbligatoria per le aziende e i professionisti una ring light.