Tutte le volte che da iPad voglio modificare un file sul Mac via SSH nasce il dilemma: pico o emacs?
Pico dovrebbe chiamarsi poco: lo strettissimo essenziale, con esperienza utente pessima. Per aggiungere un cancelletto dentro un file di configurazione e veloce e indolore; manca tutto il resto però e su file più complessi, con dentro Unicode magari, possono esserci sorprese.
Emacs è troppo: molte volte salpa una portaerei per affrontare una zanzara. È vero che c’è un sacco da imparare e che molte volte si tratta di un buon pretesto per approfondire la conoscenza del programma. È vero che a volte proprio è una risorsa esagerata per il bisogno.
Per questo do una possibilità anche a micro.
Micro, come dice il nome, prende le mosse da pico e nano ma poi salta in avanti, per esempio con il supporto del mouse, il copiaincolla, la compatibilità moderna e serena con Unicode, una architettura a plugin ed estensioni che si possono creare in linguaggio Lua.
Ci sono macro, cursori multipli, schermo splittabile… insomma, è lontanissimo da emacs ma ci si può fare davvero tanto e la difficoltà di utilizzo è minima. I principali comandi da tastiera, se non venisse usato ctrl al posto di Comando, potrebbero essere quelli di una app standard per Mac. E sono tutti modificabili toccando un file Json.
Molti programmi fatti per girare nel Terminale a volta pasticciano su Mac. Micro no. Ho provato a scaricare l’eseguibile binario e farlo lanciare via Finder da Warp; poi l’ho installato dentro il sistema con Homebrew. Successo indolore in entrambi i casi.
Non che abbia veramente risolto il dilemma di partenza; semmai l’ho trasformato in trilemma. In compenso dispongo di un grado di libertà superiore e posso motivare meglio la mia scelta. Poi un editor in più si prova sempre.