Di ritorno da Crespi D’Adda dopo l’inaugurazione di Computer Stories a riflettere tanto su come cambia la visione del retrocomputing, su come raccontare – e se farlo ancora – l’epopea dell’informatica personale e su quanto abbia da insegnarci il passato, soprattutto se siamo un pubblico non convenzionale.
Antefatto: Magnetic Media Network, azienda straordinaria nel business che quindi può permettersi iniziative straordinarie extra business (aprirei un’altra riflessione perché ritengo che sia la mentalità extra business a portarli ai risultati di business, ma probabilmente ci vuole un altro post) da anni ha trasformato una raccolta pseudopersonale di cimeli informatici in una raccolta vera e propria, il M’useum, curata e seguita, con percorsi narrativi e un filo logico dal Programma 101 Olivetti ai giorni nostri.
La raccolta è diventata eccezionalmente una mostra, Computer Stories, ospitata prima in un affascinante borgo post-industriale, Crespi D’Adda, e successivamente a Brescia, aperta al pubblico più ampio e meno competente o affezionato ai cimeli.
I pezzi in quanto tali sono divenuti gli agganci materiali per una serie di narrazioni che costituiscono la portante della mostra e che richiamano le tematiche sulle quali è nato tutto: non metto troppi spoiler, ma si parla degli Homebrew Club, di Alan Turing e degli sforzi per decifrare Enigma, dei fallimenti di chi comunque ha avuto grandi idee e ha costruito grandi realtà. Non aggiungo altro e di altro c’è molto. La morale è comunque che interessa sempre meno vedere esposto un Oric-1 accanto a un Dragon 64 in modo fine a sé stesso, guarda-che-cosa-usavano-negli-anni-ottanta. Interessa piuttosto sapere che cosa accadeva per provocare quel tipo di sviluppo, come procedeva Clive Sinclair da Zx-80 a Spectrum, come cresceva la dimensione delle memorie di massa.
Gli apparecchi spenti. I grandi musei retrocomputeristi, come All About Apple, hanno le macchine accese e in funzione. Vedi un NeXtCube e lo usi. Tuttavia lo sforzo dietro la facilità apparente è titanico. Le macchine vecchie hanno componenti che si degradano, soffrono gli sbalzi di temperatura, si fulminano senza preavviso. All About Apple ha dietro le quinte un magazzino imponente di macchine morte da cui espiantare i componenti ancora funzionanti, con i quali tenere in vita gli esemplari da esposizione. E svolge un lavoro incessante, che al M’useum non può avvenire, per ragioni culturali e perché non è sostenibile. Ci vogliono persone praticamente a tempo pieno e con conoscenze non comuni oltre a una grande passione. In un ambito privato e volontaristico questo può accadere, ma in una azienda diventa rapidamente insostenibile.
Tutto questo è stato brillantemente superato con la creazione di una mostra a tema, dove ciò che conta è il tema. Le macchine effettivamente esposte sono poche rispetto alla raccolta totale, tuttavia come si diceva prima fungono da agganci per le narrazioni tematiche. Sono quelle che costruiscono una cultura, più che il confronto tra appassionati su chi abbia a casa più condensatori nel cassetto.
Gli schermi spenti sono comunque deprimenti. Come si evita l’effetto-nostalgia? Con una esposizione eccezionale di videogame d’epoca, quelli sì, tutti funzionanti e a disposizione del pubblico, grazie alla dedizione e alla competenza di Carlo Santagostino e RetroCampus. Si parla di giochi da console e coin-op, non vecchi giochi da computer. Qui non mi sarebbe dispiaciuto un percorso narrativo dedicato alla preistoria dei giochi da computer. Che cos’è stato Zork, senza andare ai primordi con Colossal Cave o Adventure, ma anche Lode Runner di Brøderbund, The Hobbit o Lords of Midnight sullo Spectrum, Dark Castle su Macintosh, l’epoca in cui i giochi venivano digitati a mano grazie ai listati proposti dalle riviste… tutto bello, solo che si torna alla questione delle macchine funzionanti che rappresenta un problema costante. Si potrebbe pensare all’uso di emulatori in funzione su macchine moderne, però si rischia la confusione e insomma va pensata bene. Magari il percorso di una edizione successiva.
L’inaugurazione ha avuto un successo oltre le aspettative e l’approccio generale funziona. Invece di uscire da una noiosa lezione sul tempo antico, si esce da una conversazione con la nostra storia tecnologica. Più che come stiamo stati, quali onde abbiamo cavalcato, chi ha azionato le tante sliding doors che ci hanno portato agli anni venti attuali, quali forze hanno sagomato gli scenari e i campi di azione, invisibili ai più.
I retroappassionati non mancavano certo, a partire dal grandissimo Stefano che ha immortalato personaggi e circostanze con una fotocamera digitale degli anni ruggenti, un megapixel, salvataggio su floppy disk. C’era anche però un mare di gente normale, incuriosita o interessata, vergine alle problematiche tecniche e indifferente a quanto fosse modulare la scheda logica di Lisa. Il retrocomputing oggi sta qui, nelle teste delle persone normali. È diventato storia e va sottoposto a una analisi storica, al pari di tutte le altre materie della vita.
È esattamente quello che ha fatto Computer Stories, centrando il bersaglio. Visitare, riflettere, divertirsi, scoprire il nostro passato in modo da inquadrare meglio il presente.