Dopo il successo di una iniziativa del 2020 che metteva un iPad nelle mani di tutti gli studenti, il college Bowdoin ha annunciato che da questo autunno sempre tutti gli studenti disporranno di un MacBook Pro, un iPad mini e una Apple Pencil, kit che potranno riscattare alla fine degli studi per la cifra di un dollaro.
Uno dice bella forza, è facile fare la scuola digitale quando si hanno i soldi.
Parliamone un attimo. Effettivamente, stare a Bowdoin un anno costa, come stima dell’ateneo, la bellezza di settantaseimila dollari, tutto compreso. Non è solo la retta, ma tutto l’insieme delle spese che uno studente si troverà ad affrontare.
Peraltro, Bowdoin si dichiara college need-blind: la famiglia dello studente dichiara il proprio stato finanziario e, in base a quello, viene stabilito quanto effettivamente si chiede a lei e quanto, invece, coprirà l’istituto.
Sul sito dell’università c’è un calcolatore della cifra indicativa che potrebbe essere chiesta alla famiglia. Ho fatto finta di essere cittadino americano e vivere con due genitori che hanno quasi finito di pagare il mutuo e hanno stipulato una buona assicurazione sulla vita, ma hanno un reddito modesto, due soldi sul conto corrente e nessun investimento in titoli o fondi. Bowdoin vorrebbe da questa famiglia del tutto ipotetica seimila dollari e gli altri settantamila ce li mette lei.
Certo, così si crea il problema degli studenti indebitati a vita.
Problema che negli Stati Uniti esiste ed è grosso. Relativamente alla realtà ristretta di Bowdoin, dal 2008 la scuola fa a meno di prestiti e mutui. Quello che copre, lo fa grazie a borse di studio, donazioni e finanziamenti.
Si sa del resto che le buone università americane sono solo per i figli dei ricchi.
Certo, Bowdoin non è una mezza città da solo come una Stanford o una Harvard. Non è neanche una nicchietta, però: i dati di quest’anno parlano di cinquecentoventi matricole. Gli studenti che frequentano complessivamente sono milleottocentocinque.
I privilegiati, i bianchi, i raccomandati, i maschi ecco chi viene accettato.
Sempre dai dati quest’anno, si evince che un sesto delle matricole è, per dirla con Guccini, il primo che ha studiato; nessuno delle loro famiglie ha avuto una istruzione universitaria.
Gli studenti neri sono il quaranta percento.
I maschi, vero, sono più delle femmine; cinquantuno a quarantanove percento.
Gli studenti che vengono da altri Stati americani, quindi un po’ lontani per godere di raccomdazioni, sono il settantuno percento. Si noti che Bowdoin non è una iniziativa del mese scorso; è stato fondato nel 1794 e di tradizione ne ha da vendere. Lo Stato in cui risiede non esisteva ancora, essendo stato proclamato ventisei anni dopo.
Gli studenti non statunitensi sono il dodici percento.
Scommetto che però ti prendono solo se sei bravo.
E certo, i posti sono quelli. Però l’ateneo offre un mare di possibilità a chi è bravo e però non potrebbe permettersi di frequentare.
E a tutti danno un MacBook Pro, un iPad mini, una Apple Pencil. In questo modo, parole di Bowdoin,
il college ispira innovazione e crea uguaglianza digitale per ogni studente, indipendentemente dai mezzi che ha la sua famiglia.
Di che cosa si blaterava in Italia quando le scuole erano chiuse e nessuno aveva mosso un dito perché potessero rimanere aperte? Che il digitale era veicolo di disuguaglianza, perché c’era un divario tra ricchi e poveri. Quindi il digitale era il male.
Bowdoin dimostra che l’uguaglianza si raggiunge eliminando la disuguaglianza, tu guarda, invece di puntare il dito e muovere esclusivamente la lingua.
E chi non vuole diventare scienziato?
La mission di Bowdoin è:
erogare una straordinaria istruzione nelle arti liberali, insieme alla conoscenza e alle capacità che serve agli studenti per essere guide nel nostro mondo sempre più digitale.
Arti liberali, mica astrofisica (con immenso rispetto per gli astrofisici).
Non ci sono i soldi.
Non si vogliono trovare. E se non ci sono, visto che Bowdoin è piccolo, perché non fare la stessa cosa alla Normale di Pisa, al Politecnico di Milano, al DAMS di Bologna…? Giusto per mostrare che può essere fatto e soprattutto verificare che risultati porta.
L’uguaglianza si ottiene più facilmente facendo salire chi sta in basso. Strillare perché c’è gente in alto e pretendere che scenda, come sistema per portare l’uguaglianza, non è gran che.