L’equazione più famosa di Albert Einstein mostra come una piccola massa sia equivalente a una quantità immensa di energia.
Ci vorrebbe una equazione analoga che mostri la relazione tra una piccola massa e i dati che si possono ricavare dalla sua digitalizzazione. Nel caso dei proiettili che hanno ucciso John Kennedy il lavoro per arrivare a una digitalizzazione il più precisa possibile ha prodotto secondo ArsTechnica la bellezza di trecentosessanta gigabyte di dati, che presto diventeranno pubblici nei National Archives statunitensi.
I dati permetteranno di rilasciare stampe 3D di quello che è rimasto dei proiettili a storici, studenti e ricercatori e nel contempo preservare gli originali nelle condizioni più costanti di umidità e temperatura.
Qual è la risoluzione adeguata per un progetto di digitalizzazione? E per un progetto come questo? Per i proiettili di Kennedy il lavoro di scansione ha portato a una risoluzione orizzontale di quattro micrometri, un decimo dello spessore di un capello, e una verticale di 0,5 micrometri, un ottantesimo.
Se qualcosa di tutto questo può darci da pensare è forse che la digitalizzazione come la intendiamo nel linguaggio comune, infilare un foglio nello scanner a trecento punti e trovare il file un po’ ingombrante, non è che la pallida copia del reale, una approssimazione la cui entità ci pone all’inizio della storia, anzi, della preistoria del digitale.
La seconda cosa è che ogni digitalizzazione è un campionamento; il reale che si trova tra un punto e l’altro è perso per sempre. Rendere questa perdita sopportabile, o superarci tecnologicamente per superare il problema, è un’altra grande sfida per questo secolo.