Uno può sempre obiettare che le affermazioni di Apple sulla sua situazione di azienda contribuente possano essere poco neutrali e magari viziate dalla propaganda.
Tuttavia la voce di Fortune può essere definita meno influenzabile dagli interessi aziendali e il suo racconto è assai poco diverso nella sostanza. I fatti sono chiari:
- Apple paga meno tasse di quello che ci aspetterebbe in teoria, ma è una delle multinazionali che ha il trattamento fiscale peggiore.
- Per quanto poche, le,tasse pagate sono molto più vicine al trenta percento dell’imponibile che alle cifre tendenti a zero fatte circolare di tanto in tanto.
- Il problema vero è l’armonizzazione internazionale dei millemila sistemi di tassazione interno ai vari Paesi.
Si ha la sensazione che, più degli importi dovuti, incidano gli sforzi e l’organizzazione di cui ci si deve dotare quando hai una sede in decine di nazioni, ognuna con le sue particolarità e stranezze fiscali, e devi organizzare tutto in modo che funzioni e sia anche rispettoso delle regole stesse. Sperando che non salti fuori una Unione Europea a chiederti quattordici miliardi perché ha deciso ieri che le regole applicate da vent’anni sono sempre state sbagliate.
Altra sensazione è che i governi nazionali preferiscano mantenere lo status quo invece di impegnarsi davvero per tassare in maniera equa e organizzata tutti. Se è così è per convenienza e significa grosso modo che stiamo pagando tasse inique.