Sono stato sollecitato dall’amico Jida sul tema del sogno tecnologico, declinato in quello che si vorrebbe vedere da Apple, corrispondente o meno alla materialità degli annunci di prodotto.
Ci ho pensato.
Le mie soddisfazioni tecnologiche attuali arrivano da watch. Succede qualcosa, ti scrivono, ti contattano…? Lo sai con uno sguardo al polso, niente più.
E poi da iPad. Tralascio l’aspetto portatile; la sera a letto, di giorno sul divano, la mattina a fianco della colazione. Se serve fare qualcosa lo fai in un attimo; se serve leggere qualcosa, è leggero e comodo e veloce.
Ancora, da Siri. Verso la quale ho ancora un know-how da cavernicolo. Quel poco che faccio – chiamare, messaggiare, cercare una canzone, impostare un promemoria – lo trovo liberatorio e quasi giocoso.
Infine, dalla mia tastiera. È l’unica materialità che apprezzi nella tecnologia. Le dita pestano (le ho pesanti), i caratteri si depositano a raffiche sullo schermo, un comando, due comandi, il mondo si apre, si trasforma, si modifica a piacimento con pochi movimenti quasi impercettibili, a considerare il corpo. Un gran lavoro dai polsi in giù e solo quello.
Io sono contento perché la parte innovativa dell’ ultima presentazione Apple consiste in una trasformazione parziale della tastiera, che conferisce ancora più potere e libertà alle mie dita.
Il resto? Ripenso a quello che ho scritto. Il mio sogno è thinner, lighter. Sempre più leggero, sempre più sottile, fino a quando scomparirà. Saprò di avere tecnologia Apple (o chi per essa) attorno a me, ma sarà come se non ci fosse. E i dati, solo i dati, campeggeranno davanti ai miei occhi o dentro la mia testa, o dove giusto che campeggino. E ci sarà niente tra me, i dati e un pensiero della testa, o un gesto della mano, o un comando dato a voce.
Il mio sogno è essere circondato di tecnologia avanzatissima e immateriale. Il resto è un male necessario, che prima scompare e meglio sarà.