In aeroporto ho passato tutti i controlli e le registrazioni tranne l’ultimo tramite esibizione della carta di imbarco su watch. La app di Easyjet ha trasmesso graziosamente il documento a Wallet, che lo ha replicato sul quadrante da quarantadue millimetri ma più che sufficiente. (In seguito mi sono accorto che Easyjet ha la versione watch della sua app, la quale però non replica la carta di imbarco sull’orologio).
Al gate di imbarco, il lettore non era esposto come ai controlli di sicurezza e raggiungerlo con il polso era impossibile, cosí ho dovuto ripiegare su iPhone. Questo è probabilmente il motivo per cui Easyjet non replica la carta: comunque non sarebbe leggibile.
Fa tutto impressione perché la carta di imbarco su iPhone era un miraggio non molto tempo fa e ricordo il triste rito della stampa del foglio a casa prima di uscire, guai a dimenticarsene. Ora il check-in si fa in treno dalla app, ché perfino il divano di casa oramai è destinato a usi più motivanti.
Non è questo il punto; chi viaggia abitualmente oramai dà tutto questo per scontato e io sono un aggregato dell’ultima ora. Il finanziere del controllo documenti ha scorso la carta di imbarco sul minischermo con assoluta naturalezza e indifferenza.
Il punto è il sentimento. Forse per qualcuno accreditarsi con l’orologio è segno di distinzione, o di autogratificazione, o di pompaggio dell’autostima.
Lasciare tutto in tasca, ruotare il polso ed essere libero, di procedere, di spostarsi, di vivere, a me sa di libertà. Lontano dai timbri, dagli arroganti in divisa (mica tutti; gli arroganti), dalle fotocopie, dalle code umilianti e ingiuste.
Questo è un senso di watch: terminale di un ecosistema che finalmente lavora per te invece di condannarti alla burocrazia e all’inefficienza per colpa di esistere e pretendere pure di fruire di un servizio.