Un articolo di Daniel Eral Dilger su Apple Insider fa il punto sul confronto tra gli Apple Store e i Microsoft Store.
I primi sono 460, i secondi 116. I secondi sono partiti circa otto anni dopo i primi (e dopo che i primi erano stati prefigurati come un fallimento).
I primi sono pieni di folla, i secondi se li fila nessuno o quasi. L’articolo di Dilger è ovviamente esemplificativo e non contiene le foto che confrontano seicento punti vendita. È possibile scattare una foto in un momento fortunato o poco propizio eccetera. Le foto, tuttavia, fanno pensare.
E c’è comunque qualcosa di strano. I primi negozi che si aprono sono quelli più ovvi e profittevoli: si va prima dove è chiaro che si avrà successo. Poi, con il crescere della catena, si riempiono nicchie sempre più piccole. Il gioco ha rendimento decrescente con il crescere dei numeri e il quattrocentosessantunesimo Apple Store non ha speranze di uguagliare il primo. Ci sono eccezioni, c’è la Cina, ma il commercio al dettaglio funziona così.
I negozi Microsoft dovrebbero funzionare mediamente meglio di quelli Apple, proprio perché questi ultimi sono quattro volte tanti. O almeno fare all’incirca lo stesso, dato che sovente sono costruiti negli stessi posti, per risparmiare sulla ricerca della location che è una disciplina complicata.
Invece sono ridicolmente dietro. Gli Apple Store sono considerati un costo di marketing e comunicazione; il loro primo interesse – non l’unico, ci mancherebbe – è presentare una immagine di prodotto e fare vivere una esperienza, non vendere. Non fosse così, fossero pensati unicamente come negozi, con un bilancio proprio, probabilmente sarebbero in perdita.
E sono i migliori. Quei centosedici negozi devono costare a Microsoft un’iradiddio di soldi, per rendere niente.
Affidarsi a una azienda di imitatori, che non lo sanno neanche fare bene? Che buttano i soldi dalla finestra invece che investirli sui prodotti? Boh. Il mondo è veramente strano.