Anche in riferimento al post di ieri sull’essere o meno computer di iPad, ho sentito dire in passato che iPad non era un computer perché non si poteva usare per scrivere programmi per iPad.
Motivazione tirata per i capelli, dato che il problema – da tempo – non sono gli strumenti per programmare su iPad. Da Pythonista a Lisping a tutto il resto possibile, le occasioni per programmare abbondano.
Con l’entrata in scena del computing remoto, della virtualizzazione e del cloud la questione è diventata infinitamente più sfumata. Sul mio iPad potrebbe girare una macchina virtuale contenente Linux, operante da un server remoto. A quel punto si potrebbe argomentare che il fulcro dell’elaborazione sta altrove e il mio iPad è semplicemente uno strumento di interfaccia. Ugualmente, potrei lanciare un ambiente di programmazione su quel server remoto e dargli ordini da iPad, vedendo il risultato su iPad. Difficile sostenere che io in quel momento non stia programmando.
Forse il punto era poter usare un iPad per scrivere app da far girare su iPad. Ok: è uscito Dringend, ambiente di programmazione per lavorare su iPad a progetti Xcode. Dringend è la strada per aprire, creare, modificare su iPad un progetto di programma Xcode, programmato con Swift oppure Objective-C, contenente una app per iPad (o qualsiasi altro aggeggio iOS).
Bisogna riconoscere che Dringend non è completamente autonomo, c’è il trucco: bisogna avere un Mac che fa da server in fase di build, un account Dropbox utilizzabile per la sincronizzazione con Mac e un account da sviluppatore presso Apple.
Però riguardo l’esempio appena formulato, della macchina Linux virtualizzata su iPad, e rispondo sì, e allora?. Posso scrivere su iPad una app per iPad e compilarla se c’è un Mac in rete. È un problema? Se sì, bisogna rigettare l’idea che esistano situazioni come Codeanywhere, dove si programma addirittura via browser. Significa più o meno rigettare il XXI secolo.
iPad è un computer. Ci posso persino programmare per iPad, al prezzo sfasciafamiglie di 9,99 euro.