Pacifico che serva software per scrivere, fare di conto, presentare. È che Office non serve davvero più a nessuno, non per via del software in sé, ma perché le funzioni offerte sono davvero a livello universale. Senza neanche parlare di iWork, il 99 percento delle persone può svolgere il 99 percento del lavoro anche con le Google Apps. Poi c’è LibreOffice, poi le soluzioni stile Zoho. Spero davvero che Office venga scelto per questioni di simpatia, di abitudine, di interfaccia, di quello che si vuole. Perché se viene scelto in quanto Office, in quanto è quel software lì con quel nome lì che va scelto perché è quello lì, non ci siamo più. Siamo usciti dalla logica e dalla normalità, esattamente perché oggi è normalissimo non usare Office.
Non vedo l’ora che arrivi lo stesso momento anche per la Creative Suite di Adobe. Nessuna antipatia personale; stesso problema di Office. Sono corredi software che una volta risolvevano problemi e da qualche anno giustificano la propria esistenza.
Sulla Creative Suite c’è il problema delle alternative, della gente che allarga le braccia e insiste su InDesign perché c’è solo lui. Photoshop è un nome entrato nel vocabolario comune e allora bisogna che sia lui perché lo si sente nominare e non c’è la paura dell’ignoto. Ora di essere più coraggiosi, specie per quanti abbracciano la continuity di Apple e alternano l’uso di Mac a quello di iPad, o addirittura di iPhone (neanche tanto addirittura se è un iPhone 6 Plus, quasi un iPad mini).
Allora cominciamo a giocare qualche carta. iDraw, pronto da usare su Mac e su iPad, qui 21,99 euro, là 7,99 euro. Serve ancora, davvero, Illustrator?
Fresco di uscita su iPad e straordinario: Pixelmator, anche per Mac, 26,99 euro sullo schermo più grande e 4,99 euro su quello più piccolo. È così indispensabile, Photoshop?
Iniziamo a renderci indipendenti dalla Creative Suite, come lo abbiamo fatto da Office. Si vive meglio, si lavora meglio.