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18 dic 2011

La festa dell’Ascensione

Nessun intento blasfemo e neanche errore marchiano di calendario: è il gergo usato per indicare la vittoria finale in una partita ad Angband. E ho vinto.

Ci ho messo alcuni anni. Se il proprio personaggio muore durante la discesa verso il centesimo livello del sotterraneo, bisogna ricominciare tutto da zero. Giocando pochi minuti al giorno, una partita richiede come minimo molte settimane. Ci sono personaggi che sopravvivono più facilmente a inizio gioco ma hanno difficoltà nel finale e viceversa; ci sono persone che comprendono perfettamente lo spirito del gioco e arrivano a segno al primo tentativo e altri che non ce la fanno in una vita. Nella discesa i nemici si fanno man mano più temibili e minacciosi e l’unico modo per accumulare esperienza in merito è sopravvivere al loro incontro: non riesce sempre. Più si gioca, inoltre, più è facile commettere un’imprudenza o una svista, magari fatale.

Angband, dal quale discendono molte varianti all’interno del cosiddetto genere roguelike, è di ispirazione tolkieniana. Così, per arrivare in fondo, ho sconfitto numerosi malvagi popolanti la saga del Signore degli Anelli e il Silmarillion, fino a Sauron – la cui sconfitta apre la strada all’altrimenti proibito centesimo livello – e al devastante Morgoth. Nel corso della discesa ho rinvenuto l’Unico Anello, che dà un grande potere e tuttavia è permanentemente maledetto, ma sono riuscito a prevalere senza indossarlo.

Prossimamente affiggerò il mio personaggio vittorioso sulla Ladder, la grande scala ideale dei forum di Angband.

È solo un gioco, naturalmente. Per di più giocato in grafica Ascii: Sauron è una p violetta, Morgoth è una P indaco, il giocatore una chiocciola. Eppure c’è più profondità e più varietà che in ogni altro prodotto ludico esistente: anche in questa partita, delle tante che ho giocato, sono entrato in possesso di armi e oggetti magici mai visti prima.

È solo un gioco. Oso comunque condividere la mia soddisfazione.

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