Mi infastidiscono le nozioni di basic e pro che girano intorno al Mac e all’informatica in generale.
Il marketing aggiunge la parola pro per vendere configurazioni più ricche e potenti, ma finisce lì. La maggior parte del lavoro di sviluppo di Php 5 è stata svolta su un MacBook. Il vero pro vuole un Mac potente per stare comodo e spremerlo al massimo, ma spreme al massimo qualunque cosa abbia sotto le mani. Prima di arrivare a giocare negli stadi della Champions League, su quell’erba perfetta, qualunque pro si è prima smazzato il campetto dell’oratorio.
Sembra anche a volte che un pro sia uno che sa usare molte applicazioni, e un basic solo poche. Col cavolo: Martin e Rainone lavorano per il 90 percento del tempo in Photoshop e sono eccellenza. Ma chiedergli di usare TeX oppure R porterebbe a poco.
Un altro mito è che un pro usi per forza applicazioni molto specifiche, le cosiddette verticali di cui si riempiono la bocca i venditori.
Non sono d’accordo. Un asso del Mac lo metti lì davanti alla dotazione standard del sistema e farà meraviglie. Anzi, conosco pro dell’open source che il Mac lo fanno partire direttamente dal Terminale e usano solo quello, altro che le applicazioni verticali. Certe volte quello che ha bisogno del superprogramma per ottenere un risultato è uno che deve affidarsi al software perché da solo non ce la fa.
Alla fine, il pro è uno che ha grande conoscenza e fa grandi cose. Il computer è uno strumento, il software pure. Un righello è sempre un righello, in mano a me e in mano a Renzo Piano. Un righello costa niente. Lui sa usarlo, però.