A pensarci dopo, era ovvio. E però per arrivarci dovevo vederlo.
Inkbot Design mostra all’inizio di
una lunga pagina dedicata all’evoluzione del logo Apple che la mela attuale è costruita a partire dalle circonferenze che si trovano nella spirale logaritmica della sezione aurea.
È una cosa così semplice – vedendola – e sofisticata che si rischia la sindrome di Stendhal.
Sono innamorato.
Faccio il verso a Wikipedia: se ogni lettore di questa pagina desse il cinque per mille a All About Apple, farebbe opera non buona ma straordinaria per un’iniziativa sempre più insanely great man mano che passano gli anni.
All About Apple ha fatto la sua parte, con
quindici ragioni per meritarsi il contributo che non fanno una grinza. Per chi li ha conosciuti di persona, poi, veramente non ci sono dubbi.
Manca meno di un mese alla
Worldwide Developer Conference e penso che gli occhi vadano puntati soprattutto sul futuro dell’automazione per Mac e iOS.
La ragione
l’ha spiegata molto bene Jason Snell su Six Colors: sta arrivando il cosiddetto Marzipan, un sottosistema software che permetterà agli sviluppatori di portare agevolmente app iOS su macOS e in via definitiva di produrre applicazioni che in un unico package contengono il codice necessario per funzionare su qualsiasi apparecchio Apple.
Gli iPhone recenti sono resistenti alla polvere e all’acqua, classificati secondo uno standard denominato IP che prevede una serie importante di prove e specifiche. La materia sembra semplice e invece è complessa, come testimonia questo
articolo (pure divulgativo) di C|Net.
Poi c’è OnePlus, che produce il telefono omonimo. Lì hanno avuto un’idea brillante: invece che impegnarsi a certificare i loro modelli secondo uno standard internazionale riconosciuto,
hanno girato un video dove buttano OnePlus 7 Pro in un secchio d’acqua.
L’amico Riccardo ne ha fatta una grandiosa: ha cominciato a guardare una
conferenza sulle origini dell’interfaccia umana Apple, pubblicata dal Computer History Museum e tenuta nel 1997 da Larry Tesler e Chris Espinosa.
A suon di prendere appunti,
l’ha trascritta pressoché per intero.
Guardarla è suggestivo, ma leggerla consente di capire e senza avere assimilato quello che si pensava negli Ottanta è inconcepibile credere di poter dire qualcosa di sensato alla fine dei Dieci.
Mentre leggevo su SixColors la
trascrizione dell’annuncio degli ultimi risultati finanziari pensavo che:
- hanno ridefinito l’uso del personal computer;
- hanno creato la musica digitale personale;
- hanno trasformato il cellulare in calcolatore;
- hanno reso le tavolette elettroniche un oggetto realmente for the rest of us;
- hanno cambiato per sempre il concetto di orologio;
- hanno messo un processore negli auricolari.
Questo senza tirare in ballo traguardi minori, perlomeno quantitativamente, come portare a casa
la sperimentazione più allargata mai effettuata sulle malattie del cuore oppure porre le basi del desktop publishing o ancora mettere in piedi i negozi monomarca più produttivi al mondo.
Molto meglio di tante parole e tanta propaganda sparata con il ventilatore: se vuoi valutare un politico, analizza la sua tipografia.
Pochi possono farlo meglio di Matthew Butterick, l’autore di
Practical Typography, che
ha messo in fila i candidati democratici alle presidenziali americane del 2020. E lui stesso spiega perché:
La tipografia è una decisione concreta che i candidati devono prendere oggi e spenderci denaro vero, con conseguenze effettive. Se non posso fidarmi che tu sappia scegliere una manciata di caratteri e colori in modo ragionevole, perché dovrei fidarmi a metterti in mano la valigetta con i codici per il lancio delle armi nucleari?
Apple ha avuto una trimestrale in linea con le (sue) previsioni, in leggero calo sullo stesso periodo dello scorso anno. La vendita degli iPhone è diminuita, quella degli iPad è cresciuta e parliamo dell’hardware che ha registrato le variazioni maggiori (Mac è in calo leggero, da fluttuazione). I servizi sono cresciuti di molto invece e non hanno mai contato così tanto.
Che cosa vuol dire in una manciata di righe?
Leggi di Apple che sarebbe sotto accusa perché martella le app
che fanno uso di sistemi di Mobile Device Management per monitorare il comportamento di altri telefoni, quindi con strumenti di controllo a distanza (che è tutt’altra cosa). I più candidi lasciano intendere che la mossa
faccia sparire app scomode per la funzione di Screen Time di iOS. Il New York Times titola addirittura
Apple si accanisce sulle app che combattono la dipendenza da smartphone. Che barba.
Scrive Benedict Evans a proposito di un tema assai scollegato dall’argomento di oggi:
Come ci siamo spostati verso strati di astrazione superiori (dalla riga di comando a finestre e mouse a multitouch, dal software locale a quello in cloud) qualche cosa sparisce nei livelli inferiori. […] Non usiamo più utility di deframmentazione né ci preoccupiamo di configurare l’hardware e, su un iPhone o un Chromebook, non dobbiamo preoccuparci dei virus. […] Così come Apple ha provato a risolvere deframmentazione o plug and play, oggi cerca di risolvere nuovi problemi nella nostra esperienza del computing.