L’ho già detto, iPad Pro 12"9 è a stare larghi una delle tre migliori macchine che abbia usato nella vita. Lo uso del tutto intercambiabilmente con il Mac ed è un piacere assoluto.
Uso pochissimo gli animoji invece, ne avrò inviati tre da novembre, dei quali uno di prova.
iPad Pro non ha il notch degli iPhone serie X; l’hardware di riconoscimento facciale è nascosto nella cornice, sul lato corto dove si trova il pulsante di accensione.
Articoli come
Gli AirPods sono una tragedia impressionano e non per il contenuto, ma per il contesto dentro al quale evidentemente nascono.
L’idea di base, una riga per riassumerne cento, è che gli
AirPods siano una iattura per la civiltà perché fatti di plastica e difficili da riciclare.
Fin qui è una posizione che si può condividere, o meno. Il contesto attorno è terrificante. Varie frasi iniziano con molti pensano che o varianti sul tema, come se la cosa avesse rilevanza fattuale. L’idea che gli AirPods siano simboli di ricchezza ostentata (!) arriva mostrando una foto di Kanye West che impugna il suo portatile in modo noncurante (come peraltro è capitato spessissimo di fare anche a me, che il portatile me lo devo sudare) e una tizia che vende orecchini porta-AirPods.
Ammetto di non avere prove concrete, né riscontri sul campo. Però mi fido di John Gruber anche quando non sono d’accordo con lui e certamente non si espone senza avere come minimo qualche ragione.
Questa la sua
valutazione preliminare della nuova versione di Android:
Avrebbero dovuto chiamarlo Android R intendendo “rip-off” [scopiazzatura]. Questa è l’interfaccia di iPhone X. La faccia tosta di questa scopiazzatura è deprimente. Non hanno un orgoglio a Google? Non hanno un senso della vergogna?
A pensarci dopo, era ovvio. E però per arrivarci dovevo vederlo.
Inkbot Design mostra all’inizio di
una lunga pagina dedicata all’evoluzione del logo Apple che la mela attuale è costruita a partire dalle circonferenze che si trovano nella spirale logaritmica della sezione aurea.
È una cosa così semplice – vedendola – e sofisticata che si rischia la sindrome di Stendhal.
Sono innamorato.
Faccio il verso a Wikipedia: se ogni lettore di questa pagina desse il cinque per mille a All About Apple, farebbe opera non buona ma straordinaria per un’iniziativa sempre più insanely great man mano che passano gli anni.
All About Apple ha fatto la sua parte, con
quindici ragioni per meritarsi il contributo che non fanno una grinza. Per chi li ha conosciuti di persona, poi, veramente non ci sono dubbi.
Manca meno di un mese alla
Worldwide Developer Conference e penso che gli occhi vadano puntati soprattutto sul futuro dell’automazione per Mac e iOS.
La ragione
l’ha spiegata molto bene Jason Snell su Six Colors: sta arrivando il cosiddetto Marzipan, un sottosistema software che permetterà agli sviluppatori di portare agevolmente app iOS su macOS e in via definitiva di produrre applicazioni che in un unico package contengono il codice necessario per funzionare su qualsiasi apparecchio Apple.
Gli iPhone recenti sono resistenti alla polvere e all’acqua, classificati secondo uno standard denominato IP che prevede una serie importante di prove e specifiche. La materia sembra semplice e invece è complessa, come testimonia questo
articolo (pure divulgativo) di C|Net.
Poi c’è OnePlus, che produce il telefono omonimo. Lì hanno avuto un’idea brillante: invece che impegnarsi a certificare i loro modelli secondo uno standard internazionale riconosciuto,
hanno girato un video dove buttano OnePlus 7 Pro in un secchio d’acqua.
L’amico Riccardo ne ha fatta una grandiosa: ha cominciato a guardare una
conferenza sulle origini dell’interfaccia umana Apple, pubblicata dal Computer History Museum e tenuta nel 1997 da Larry Tesler e Chris Espinosa.
A suon di prendere appunti,
l’ha trascritta pressoché per intero.
Guardarla è suggestivo, ma leggerla consente di capire e senza avere assimilato quello che si pensava negli Ottanta è inconcepibile credere di poter dire qualcosa di sensato alla fine dei Dieci.
Mentre leggevo su SixColors la
trascrizione dell’annuncio degli ultimi risultati finanziari pensavo che:
- hanno ridefinito l’uso del personal computer;
- hanno creato la musica digitale personale;
- hanno trasformato il cellulare in calcolatore;
- hanno reso le tavolette elettroniche un oggetto realmente for the rest of us;
- hanno cambiato per sempre il concetto di orologio;
- hanno messo un processore negli auricolari.
Questo senza tirare in ballo traguardi minori, perlomeno quantitativamente, come portare a casa
la sperimentazione più allargata mai effettuata sulle malattie del cuore oppure porre le basi del desktop publishing o ancora mettere in piedi i negozi monomarca più produttivi al mondo.
Molto meglio di tante parole e tanta propaganda sparata con il ventilatore: se vuoi valutare un politico, analizza la sua tipografia.
Pochi possono farlo meglio di Matthew Butterick, l’autore di
Practical Typography, che
ha messo in fila i candidati democratici alle presidenziali americane del 2020. E lui stesso spiega perché:
La tipografia è una decisione concreta che i candidati devono prendere oggi e spenderci denaro vero, con conseguenze effettive. Se non posso fidarmi che tu sappia scegliere una manciata di caratteri e colori in modo ragionevole, perché dovrei fidarmi a metterti in mano la valigetta con i codici per il lancio delle armi nucleari?