Dopo avere letto una certa dose di esagerazioni sulle conseguenze dell’uscita di iMac, del quale è appena
ricorso l’anniversario, ho sentito il bisogno di cercare qualcosa di più fondativo. Sempre nell’ambito delle letture pazzamente inutili quanto adeguate per l’agosto in vacanza.
L’ho trovato in questo articolo di Steve Jobs,
Quando abbiamo inventato il personal computer…. Jobs ha cessato da tempo di essere di moda e oggi il trattamento più tipico che riceve è l’insistenza sui difetti e sulle mancanze. Tuttavia ha anche fatto e pensato qualcosina di significativo. Quando leggo una cosa del 1981 perfettamente valida trentotto anni dopo, fatico a restare indifferente.
Apple non è mai riuscita a fare adottare regolarmente e con efficacia le tecnologie esclusive del proprio sistema operativo (per esempio
AppleScript o
tipografia evoluta) alle applicazioni multipiattaforma diffuse. Gli esempi abbondano, a partire dai programmi Adobe come Photoshop o InDesign. Il problema sussiste anche nel mondo open source, dove applicazioni come [Inkscape] (
https://inkscape.org/) oppure
LibreOffice offrono esattamente lo stesso pacchetto su Linux, Windows e Mac, come minimo comun denominatore. Il meglio che ci si possa aspettare in tutti questi casi è la reinvenzione della ruota (invece di usare le routine grafiche di macOS, Illustrator adopera le proprie) e la media, appunto, è la mancanza di supporto.
Apple fa sempre troppo poco. Invece di salvare il mondo con parole d’ordine facili o con l’illusione che sia sufficiente rinunciare alle cannucce in plastica, annuncia insieme a Tiffany che
si rifornirà di oro in Alaska solo da estrattori che nel contempo lavorano per ripristinare o migliorare i percorsi di migrazione dei salmoni.
Qualche anima bella è convinta che la via da percorrere sarebbe non estrarre oro e possibilmente nient’altro. Sedersi e aspettare la morte.
La quiete di Natale ha un sottofondo di voci, attività; quella di Ferragosto è mortale e sembra di stare nel deserto anche in mezzo a quattordici file di ombrelloni.
Gli auguri suonano sempre un po’ retorici; più di quelli, ho un pensiero per i tanti con cui ho un rapporto di amicizia attraverso queste pagine e i tantissimi con i quali non ho mai parlato, anche se lo farò volentieri alla prima occasione.
Ci si avvicina pericolosamente a Ferragosto e mi avvicino innocuamente con la famiglia all’estremo nordest italiano, per raggiungere un docente universitario che tanto tempo fa ma è una lunga storia. Non c’è da stupirsi che scriva dal letto di un alberghino apprezzato con iPad Pro e che per la testa girino riflessioni non proprio profonde. Del tipo.
Vorrei riuscire a vincere
Brogue prima di settembre. Solo che è una bestia difficile da domare, almeno per me. Gira anche
su iOS.
Un corollario della
nostalgia per HuperCard e compagnia è il desiderio di trovare programmazione semplice da affrontare, con la quale poter fare subito qualcosa, superando la fase dei mattoni da costruzione stile Automator su Mac o Comandi rapidi su iOS.
È agosto, i buoni propositi si fanno adesso. Tempo di considerare Swift. Dopo cinque anni di sviluppo
è un linguaggio maturo e pronto a tutto.
Quando mi ci sono cimentato, che era uscito da pochissimo, in tre mesi ero diventato in grado di scriverci sopra un
libriccino. E non sono un programmatore.
Ieri erano trentadue anni dal primo
annuncio di HyperCard, programma che ho molto amato e che, come è giusto fare con ciò che si ama veramente, bisogna saper lasciare andare per girare pagina.
È un invito agli ultimi nostalgici. Ce ne sono ancora diversi. La
storia del programma è senza dubbio affascinante, ma che cosa ci lascia effettivamente in eredità HyperCard, ora che le
orazioni funebri sono diventate vecchie pure loro, in rete si trovano tutte le
risorse possibili e immaginabili per pasticciare con gli stack in assenza del software e quest’ultimo è
emulabile via browser?
Se gli AirPods fossero il prodotto di una società dedicata, quella società
sarebbe ben posizionata tra le prime 500 della classifica di Fortune, davanti a nomi come Foot Locker, Motorola, Amd.
Poi uno dice che sono sciocchezze, che manca l’innovazione, che non nascono prodotti di rilievo, che sono solo cuffiette. Beh, starei a sentire interessato la spiegazione di come creare cuffiette sciocche, non innovative, e venderne cinquanta milioni di esemplari in un anno.
Per la serie Letture tanto epiche quanto futili adatte al mese di agosto consiglio la
storia di come è nato il comando Unix pipe.
Pensando al mondo informatico di oggi appaiono come situazioni inconcepibili. Doug McIlroy, di lì a poco responsabile dei laboratori Bell nei quali è nato Unix, che scrive dovrebbe esserci un sistema di congiungere tra loro i programmi come si fa con le canne da giardino. Nel 1964.
È sempre tempo guadagnato leggere le
statistiche sugli hard disk installati presso BackBlaze e anche l’ultimo appuntamento è stato all’altezza delle aspettative.
Il campione in esame contiene all’incirca centoottomila dischi rigidi, di cui vengono tenuti in conto i malfunzionamenti. Si possono leggere cose come questa:
Questi dischi [Toshiba MG07ACA14TA da quattordici terabyte) hanno avuto una partenza ballerina, con sei guasti nei primi tre mesi di utilizzo. Da allora si è verificato solo un altro guasto e il secondo trimestre 2019 è stato immacolato. Il risultato è che il tasso di guasti annuale di questi dischi è sceso a uno 0,78 percento molto rispettabile.