Nessuno mi toglie dalla testa che, nello scripting, le soluzioni più interessanti siano quelle più inutili dal lato pratico. Uno si focalizza sul codice e fa più attenzione al flusso di un programma più che alla sorte dei dati in quanto tali.
Sono apparsi dovunque titoli a parlare del brain rot, del cervello che va in pappa, usualmente per il consumo eccessivo o squilibrato di materiale su Internet. I danni dei telefonini, il quoziente intellettivo che diminuisce, i giovani che non riescono a concentrarsi, l’uomo ha perso la libertà quando il telefono ha perso il filo.
In particolare, uno studio mostrerebbe che
il quoziente intellettivo cala negli adulti interrotti dalle notifiche della posta e dalla suoneria del telefono come neanche riesce a fare il consumo di marijuana.
Arriva il momento dell’anno dove ci si prepara per il Super Bowl, in programma tra una decina di giorni.
Negli ultimi anni la visione a pagamento per l’Italia è stata
prerogativa di Dazn e così anche per il 2025.
Non mi risulta invece che ci siano possibilità di visione gratuita (per un attimo facciamo finta che non esistano le Vpn e di essere tifosi di football poco pratici di Internet invece del contrario).
In un mondo che facciamo fatica a riconoscere, ebbro di finta intelligenza artificiale e adesso pure di
finta intelligenza artificiale made in China come se fossero i tovaglioli di carta per il picnic, è rasserenante ritrovare le cose come le conosciamo, il flusso delle notizie che siamo sempre stati abituati a leggere.
È uscito
DeepSeek, un chatbot di provenienza cinese. Ha prezzi clamorosamente inferiori a quelli dei soliti noti. Pare, si dice, che le sue capacità di reasoning siano confrontabili con quelle delle migliori offerte di OpenAI.
Ho visto farlo qualcuno e ho ceduto alla curiosità: mi sono cercato su
Grok, il chatbot di X.
L’assistente ha risposto con un dignitoso e banale copia e incolla di un mio profilo ampiamente visibile sul web e ha aggiunto collaborazioni a due siti dei quali non avevo alcuna memoria.
Mi sono sembrati inciampi di quelli classici per un chatbot, che appena può inventa, fino a che non ho verificato: era tutto assolutamente vero. Brevi collaborazioni occasionali, ma effettivamente avvenute, di cui avevo del tutto perso memoria.
La seconda metà potremmo scriverla a memoria ed è diventata persino noiosa. Invece questa
biografia del talentuoso Clive Sinclair si distingue per la prima metà, contenente numerosi dettagli, se non inediti, almeno poco noti.
Si scopre che il decenne Clive aveva realizzato una radio da polso, andava male a scuola ma aveva costruito un razzo a partire da una pompa per biciclette; in più arrotondava con lavoretti e commissioni varie.
Poi iniziò a lavorare e la sua fortuna fu farlo nell’editoria informatica (!), dove il suo nerdismo naturale si incontrò con una moltitudine di persone, progetti, nozioni.
Peggio ancora, hanno chiesto i vincitori della LIX edizione e della LX edizione. Su quest’ultima, Siri si è inventata una squadra vincente e nemmeno era un pronostico (il sessantesimo Super Bowl si gioca nel duemilaventisei).
Tutto fatto in casa, driver delle batterie scritti in proprio (!), acquisto unicamente dei puri componenti. Il risultato funziona, è prestazionale, tutt’altro che un giocattolo, con un signor schermo, realizzato sotto pressione per la scadenza dell’esame invece che come passatempo per i weekend di pioggia.
Non è bello quando si vedono sviluppatori lamentarsi di Xcode, l’ammiraglia per creare applicazioni e software di ogni tipo sui sistemi Apple. Deve essere, lo sviluppo software, un meccanismo il più possibile oliato e affidabile, oltre che semplificato il possibile e oltre.
Abbiamo Christian Tietze che mette in discussione un
cambiamento in Xcode 16 relativo a come esempi di app in sottocartelle possano fare riferimento a pacchetti locali, cambiamento che lo forza a eseguire parte del lavoro in un altro editor e abbandonare temporaneamente Xcode.