Le sacche di analfabetismo informatico che abbiamo in Italia normalmente ricalcano Totò e Fantozzi, la farsa nella tragedia e viceversa.
Ora però è diverso. Si deve pensare a che cosa sarebbe questo periodo senza Internet. Senza le videoconferenze. Senza la rete che continua a consentire la comunicazione anche quando tutti stanno a casa. Senza i computer che lavorano senza sosta a supporto degli scienziati che cercano una cura.
Gli analfabeti sono quelli che ti hanno un po’ riso dietro o avversato in modo che non dovesse capitare anche a loro di usare la tecnologia; quelli dell’odore della carta; quelli della scuola democratica che smette di essere tale se avviene a distanza. Ora, che cavolo sarebbe la scuola democratica? Quella dove i genitori votano le pagelle? O eleggono i docenti?
IPad
ha appena compiuto dieci anni come
epitome del computer modulare e in questi giorni lo uso sempre più spesso.
Così mi accorgo di dove lo stato dell’arte è ancora inferiore a Mac: oggi, per esempio,
Editorial ha stentato alle prese con un file testo ostico, da due megabyte. C’era di mezzo anche la sincronizzazione con Dropbox, ma non ci sono scuse: su Mac un file di testo da due megabyte neanche inizia a essere un problema.
Poca enfasi quest’anno sui pesci d’aprile ed è facile capire perché. Nondimeno c’è chi ha voluto se non altro liberare la mente e si è cimentato nel progetto di
fare funzionare una applicazione Swift su Mac OS 9 Classic.
Il resoconto è puntuale è incredibile. Salta fuori che
AIX condivideva più dell’immaginabile con Mac OS 9 e che esiste un
emulatore di
Macintosh Programmer’s Workshop, oramai un grimorio da leggenda per chi impegnava un metro cubo di libreria con quei sei fascicoli di manualistica.
La primissima fase della mia
transizione web da
MediaTemple a
Linode, da un ambiente di hosting a una macchina virtuale Linux, ha avuto successo: il blog è tornato visibile.
Ha voluto dire scegliere una distro Linux, configurare il networking, impostare Dns, attivare un firewall, configurare un server web, cambiare i privilegi di accesso di sezioni della macchina eccetera. Tutto via riga di comando, talvolta con
BBEdit in connessione remota, talvolta con
nano.
Niente di clamoroso; qualunque amministratore di sistema lo fa a memoria, da mattina a sera, con una mano sola e senza guardare.
È la finalissima della
March Madness di 512 Pixels.
I risultati delle eliminatorie sono stati variamente sorprendenti, ma immagino per chiunque abbia delle opinioni minimamente formate sui computer Apple.
Il Cubo fu un disastro nelle vendite nonostante un design strepitoso. Un po’ come il primo Macintosh. Chi lo ha avuto spesso lo usa ancora e non ho sentito alcun proprietario lamentarsene.
Il penultimo MacBook Pro è un buon Mac portatile ma non passerà alla storia né sarà usato da qui a dieci anni.
Delle mille soluzioni di videoconferenza possibili emerge come preferenza assai diffusa Zoom, che non è esattamente il mio preferito (invece,
Valarea per lavorare e
Jitsi per chiacchierare), magari dopo un’occhiata all’elenco di server di
iorestocasa.work, che può tornare utile).
Non linko Zoom perché è venuto fuori che la versione iOS trasmetteva dati a Facebook, anche se non si era iscritti a Facebook. Un aggiornamento passato poco dopo l’uscita della notizia ha eliminato il problema, solo che resta la licenza d’uso del programma, che praticamente consente a Zoom di fare un po’ quello che vuole in termini di rispetto della privacy.
Una banale verità di cui faremmo meglio ad accorgerci in questi giorni di videoconferenza obbligata. Al Roker, meteorologo statunitense,
ha mostrato il proprio setup nel momento in cui causa coronavirus trasmette dal giardino di casa.
Due iPhone, un iPad, illuminazione Led, postazione microfonica.
Dichiaro ufficialmente che in questa casa entra una Magic Keyboard per iPad solo se qualcuno me la regala.
D’altra parte ammetto di ricevere feedback positivi dagli amici (Stefano per primo) e di leggere praticamente solo commenti favorevoli, a partire da quello più autorevole,
di Federico Viticci:
Man mano che procediamo verso il picco, si rende sempre più evidente l’inadeguatezza della raccolta dati. Qualcosa che nessuno dei nostri ineffabili governanti ha considerato, un tema alieno, remoto. Come può gente ferma al Ventesimo secolo avere consapevolezza della potenza dei dati, specialmente quando potrebbero salvare vite e lavori in più?
Invece ogni regione conta in modo diverso, probabilmente ogni provincia, forse ogni comune. È impossibile fare confronti sensati e disegnare una rappresentazione omogenea della situazione. Se l’azione sanitaria muta strategia in corso d’opera è chiaro che cambia i risultati, ma una buona rilevazione dovrebbe prevdedere i giusti correttivi. Invece appare evidente che di competenza in questo campo scarseggiamo, mentre negli uffici sanitizzati albergano piuttosto specialisti capaci di limare all’infinito il modulo di autocertificazione.
Ignoro quando verranno lette queste note, che accompagnano il trasferimento della mia famigliola web da
MediaTemple a
Linode.
La mossa somiglia a uscire da una palazzina condominiale per entrare in una villetta unifamiliare, di quelle che tanti si costruiscono almeno in parte da soli. MediaTemple è un disco virtuale fatto per lo hosting, dove basta nulla per avere un sito funzionante; Linode mette a disposizione una macchina virtuale, un computer completo che può anche, ovviamente, fare hosting. Potrebbe però fare qualunque altra cosa e per questo ha bisogno di essere configurato da zero o quasi.