Nel capitolo 40 de Il pendolo di Foucault, Umberto Eco smonta il meccanismo dell’industria degli Aps, gli autori a proprie spese, quelli disposti a pagare per essere stampati e pubblicati in cambio di promesse.
La narrazione è ironica e i personaggi del libro sono inventati; le dinamiche invece le ho vissute in seconda persona.
Posso parlarne perché è passato molto tempo. L’amico protagonista è oggi un consulente ben pagato, con una bellissima famiglia, reduce da posizioni di prestigio in aziende importanti, libero di soddisfare interessi artistici con una preparazione ragionevole. Una persona realizzata appieno.
Nel senso delle cose della polis, come dovrebbe significare.
I rischi della tecnologia.
Qualcuno ricorderà i rischi del non averla. Non parlo dei Neanderthal, che qualche rischietto lo correvano e vivevano più preoccupati. Parlo della comunicazione, nella sua forma più ampia, compresa quella di massa. E dell’accesso alla comunicazione da parte dei singoli. Qualcuno, ignorante, la chiama democratizzazione, come se chi accede alla comunicazione avesse il potere di decidere. Ovviamente è una scemenza, il singolo non ha mai deciso alcunché né mai lo farà.
Linus Torvalds tiene
il proprio intervento durante l’evento Open Source Summit and Embedded Linux Conference: Europe. A un certo punto gli chiedono come si articoli la sua giornata. Risponde che legge un sacco di posta, ne scrive molta è praticamente non programma più, perché scrive il codice direttamente nel messaggio oppure invia pseudocodice. Poi:
Leggo molta più posta di quella che scrivo, perché alla fine il mio lavoro è dire no. Qualcuno deve poter dire no alla gente. Perché gli altri sviluppatori sanno che che se fanno qualcosa di sbagliato, io dirò no. […] Tuttavia, per poter dire no, devo conoscere il retroscena. Per questo passo praticamente tutto il mio tempo a leggere posta riguardante quello su cui sono al lavoro le persone.
Se l’amico Riccardo chiude la sua carrellata su Wwdc con una
visione pacatamente ottimistica sul futuro di Mac, vuol dire che è stato un successone.
Nessuno meglio di lui sa cogliere luci e ombre di Apple. Ed è il posto da visitare per sentire la voce di chi, spesso vede il bicchiere mezzo vuoto. Io tendo a vederlo mezzo pieno e leggere i suoi articoli ha sempre l’effetto di un riequilibrio.
Dopo la disdicevole chiusura della vecchia versione di Europass, ho dato una seconda possibilità a quella nuova.
La sezione delle competenze informatiche si è di molto automatizzata, fino a non funzionare. Su iPad, appena la si richiama, la pagina si ricarica improvvisamente e riporta alla home personale, con il proprio profilo. Niente paura: i dati non sono andati persi come sembra. Un colpo sul pulsante Indietro del browser e sono ancora lì, con la possibilità di completare effettivamente la sezione.
Per quanti non si fossero trovati a dover rispettare certi requisiti formali collegato a una gara di appalto,
Europass ha chiuso il servizio alle diciannove di ieri per aggiornarsi a una nuova versione. Europass di cui pensavo peggio, invece è decente. Non sono mai riuscito a fare salvare un curriculum su Dropbox o Google Drive da iPad, però lo scaricamento in locale ha sempre funzionato. E poi il senso di Europass 2.0, leggo, è proprio sganciarsi dai cloud esterni per conservare il curriculum in proprio. In un certo senso, non riuscendo a salvare, già c’eravamo.
Tutti dietro ai
benchmark clandestini del Developer Transition Kit, ottenuti su un Mac che non è in vendita, su un’architettura non definitiva, su un processore che non sarà identico sui modelli in vendita, con software beta, relativi allo strato di conversione da Intel Rosetta 2. Insomma nelle condizioni ideali per non valere niente.
Lo so: nelle peggiori condizioni immaginabili, uno strato di transcodifica software batte
Surface Pro X con codice nativo. C’è gusto.
La
teoria. Installare font nuovi su iOS è macchinoso e problematico. Se dietro una installazione c’è uno sviluppatore subdolo,
possono essere guai.
The Iconfactory ha visto una soluzione e ha contattato lo sviluppatore. Hanno lavorato insieme e, dall’intuizione originale dello sviluppatore più il contributo di The Iconfactory, è nata
Fontcase.
La pratica. Ho installato Fontcase e funziona subito, bene, semplice.
Dubbi? No. Perché il codice è
open source e chiunque può verificare che cosa combina. Chiunque no; occorre un minimo di capacità tecnica. Nondimeno, il codice è lì da vedere.
Per lavoro devo aprire Facebook. A parte questo, da diversi giorni non lo apro più per alcuna altra ragione.
Ho scoperto l’acqua calda. Il terminale che ho nelle mani o sotto controllo trabocca di ebook, siti salvati per un momento migliore, studi scientifici da scorrere, riviste online, zine app, corsi, newsletter, articoli, pagine di quotidiano scandite per non perderle, conversazioni su Slack, wiki, manuali, tutorial e così via.
È materiale per almeno dodici vite.
Microsoft
chiude definitivamente tutti i suoi negozi fisici, a eccezione di quattro che verranno reimmaginati come centri di esperienza.
Forse li useranno per studiare come mai pensavano che per fare successo come quelli di Apple sarebbe bastato aprirli, a brutta imitazione, negli stessi posti. Dopotutto un negozio è un negozio, no? Un po’ come i computer, alla fine dentro sono tutti uguali. Beh, un attimo…